Il 14 ottobre 2004, io e la mia compagna
d’avventura, Arianna, siamo partite per il Congo, precisamente
per Kinshasa la capitale, dove saremmo state ospiti nella
missione di Padre Stefano Camerlengo fino al 29 novembre.
Durante il viaggio, Arianna, essendo alla sua prima esperienza
africana, cercava di immaginare cosa avrebbe trovato, io invece
pensavo cosa avrei ritrovato dato che avevo già vissuto una
breve esperienza l’anno precedente, in Zambia.
Dopo circa 12 ore di viaggio, che sembravano interminabili,
finalmente siamo atterrate all’aeroporto di Kinshasa e subito
ho provato un’emozione che non dimenticherò più.
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Durante la prima settimana di
permanenza alla missione Padre Stefano e suor Renata,
una delle suore del Sacro Cuore presenti a Kinshasa, ci
hanno fatto visitare tutte le diverse realtà presenti
nel luogo, un po’ per farci ambientare ma soprattutto
per faci decidere dove volevamo prestare il nostro
piccolo aiuto. Ben presto però ci siamo rese conto che
le cose da fare erano davvero tante ed era impossibile
scegliere fra la pediatria, dove c’erano i neonati che
avevano bisogno di piccole attenzioni e tanto affetto, i
due orfanotrofi dove bambini abbandonati chiedevano solo
un po’ di considerazione, il dispensario e
l’ospedale, dove la gente ammalata aveva bisogno di
sostegno e conforto, e le prigioni dove gente sola
cercava un sorriso amico. Dato che non volevamo
escludere nessuno abbiamo deciso di suddividere la
settimana in modo da essere presenti un po’ ovunque.
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Essendo alla mia seconda esperienza in
Africa come volontaria, pensavo di essere abbastanza
preparata per affrontare diverse situazioni.
L’esperienza dell’anno precedente mi era servita per
avvicinarmi un po’ a questo mondo così diverso, pieno
di contraddizioni, povero e ricco nello stesso tempo ma
ora mi stava assorbendo completamente facendomi
diventare parte integrante di esso e ogni giorno che
passava mi innamoravo di più del luogo e della gente
che conoscevo. Fra tutte le realtà che ho avuto la
possibilità di visitare, la più sconvolgente e
toccante è stata la visita alle prigioni. Tutti i
giovedì mattina le suore andavano a trovare i detenuti
per portare loro un po’ di conforto e per ridargli la
forza di lottare attraverso l’amore, l’ascolto, la
comprensione e soprattutto la parola di Dio, e noi le
accompagnavamo. In uno stesso stabilimento diviso in
padiglioni, vivono condannati a morte, minorenni, chi ha
commesso un omicidio e chi ha rubato un frutto e donne
con i propri bambini, angioletti innocenti costretti a
pagare per colpe mai commesse e forse neanche commesse
dalle loro madri, perché spesso si finisce in prigione
senza sapere perché. |
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Vivono tutti in condizioni disumane,
senza un attimo per se stessi o un po’ di privacy, sono
malnutriti e qualcuno anche ammalato. Un altro impatto forte è
stata la visita ad uno dei tanti villaggi dove i missionari, con
l’aiuto delle suore e della gente di buona volontà, cercano
di portare un po’ di aiuto. Sembrerà assurdo ma a meno di
trenta km dalla capitale ci sono villaggi dove la gente vive in
capanne fatte interamente di paglia, non ha elettricità, non ha
acqua e vive dei pochi doni della natura. Qui si cerca di fare
quel che si può dando un’istruzione ai bambini che non
possono permettersi di andare a scuola e soprattutto dando loro
da mangiare. Inoltre bisogna cercare di combattere le malattie
dovute soprattutto alla malnutrizione e alla mancata igiene.
L’Africa è talmente bella, affascinate, magica, ma purtroppo
è anche piena di difficoltà, di grandi problemi, è come un
bambino che ha tanta voglia di crescere, di imparare ma non ha
nessuno che glielo insegni. I bambini appunto, sono il futuro di
questo continente, sono la speranza e debbono essere la certezza
di un futuro migliore, un futuro dove non esiste bianco e nero,
povero e ricco, ma dove esiste la persona, il rispetto e
l’aiuto reciproco. Quando si pensa all’Africa e agli
africani si pensa a persone povere, che non hanno niente,
muoiono di fame ma continuano a fare figli e a fare la guerra
fra loro, culturalmente ignoranti, in qualche modo si pensa che
meritano ciò che hanno e non hanno. Questo purtroppo è un modo
troppo semplicistico di pensare, è troppo facile giudicare dal
di fuori senza sforzarsi di conoscere la verità, e io che ho
avuto la fortuna di vedere le cose con i miei occhi ho
l’obbligo di gridarla. Questa esperienza mi ha sconvolto e
cambiato la vita, ora guardo le cose sotto un altro punto di
vista, apprezzo ciò che ho, mi sento fortunata rispetto a tanta
gente e voglio fare tutto ciò che è in mio potere per cercare
di aiutare chi è stato meno fortunato di me. Non voglio e non
penso di poter cambiare il mondo, mi basta riuscire a far aprire
gli occhi a tanta gente che non vede o non vuoi vedere. Per
fortuna non sono sola, ho accanto a me persone eccezionali come
Suor Renata e Padre Stefano, che mi hanno aiutato a crescere con
loro e attraverso di loro.
Angela Bagalini |
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