I primi dati storici certi risalgono l'anno 936 d.C. quando il potente abate di Farfa, Campone, dona ad Ildebrando, che lo aveva aiutato nella congiura contro l'abate Raffredo, un consistente fondo e la chiesa di Santa Maria di Chienti. La chiesa attuale, pur avendo subito modifiche sostanziali nel corso dei secoli, è da far risalire al XII secolo, quando l'abate di Farfa Agenolfo volle ampliare l'originaria struttura. Tale ipotesi è confortata da due iscrizioni presenti nella chiesa: una di queste riporta la data 1125 mentre l'altra il nome dell'abate Agenolfo.
Nel XV secolo, probabilmente per motivi funzionali considerando che l'area intorno al complesso monastico era periodicamente invasa dalle acque del fiume nonostante le chiuse ed i vallati, rendendo la chiesa impraticabile, fu costruito un piano di calpestio a livello del deambulatorio superiore. Quest'intervento, che portò alla realizzazione della chiesa superiore comportò anche sostanziali modifiche strutturali di gran parte del complesso.
Fin qui nei documenti riguardanti i monaci non si parla mai di un abate di Santa Maria dì Chienti; esisteva però un "praepositus" il quale, incaricato dall'abbazia madre di Farfa, coordinava le varie attività del monastero. Nel 1477 la chiesa ed i suoi fondi passarono alle dipendenze dell'Ospedale Santa Maria della Pietà di Camerino. Nei primi anni del 1500 furono sistemati la rocca sita nelle vicinanze della chiesa e le botteghe usate dai mercanti. Oggi nulla resta di questi manufatti e del monastero.
I lavori di restauro del 1925-28 e soprattutto quelli del 1937 hanno dato l'aspetto attuale alla chiesa di Santa Maria di Chienti che costituisce uno degli esempi più tipici d'architettura cluniacense nelle Marche ed in Italia. Essa corrisponde ad un tentativo di mediazione dei due modelli di riferimento: quello borgognone e quello lombardo. Il primo, con la tipica struttura a cappelle radiali, azzarda soluzioni tecniche tendenti al verticalismo che confluiranno nello stile gotico mentre il secondo mira di più a curare una solida e severa articolazione della struttura muraria.

Vicende costruttive

L'edificio a pianta basilicale a tre navate con abside semicircolare e deambulatorio a tre cappelle radiali, è orientato ad est nella parte absidale, con ingresso assiale in facciata.
Il tetto è a due spioventi su capriate di legno a vista nella navata centrale e ad uno spiovente nelle navate laterali.
La facciata è di poco anteriore al 1667, dato che un disegno conservato nella parrocchia e così datato, mostra già il prospetto modificato. Costruita in laterizio presenta un unico ingresso assiale sormontato da due finestre sovrapposte e affiancate da altre due più piccole.
La base presenta una muratura riferibile ad epoca anteriore, probabilmente quattrocentesca. Un setto murario perpendicolare alla facciata fa supporre l'originaria presenza di un portico del quale però non si ha notizia certa, come pure non è
documentabile la presenza di portali laterali.
Il lato meridionale della chiesa nonostante sia stato fortemente rimaneggiato, presenta ancora di fianco alla facciata una meridiana in pietra bianca del secolo XII nella quale è la suddivisione romana del giorno in prima, terza, sesta, nona e vespro, indicate rispettivamente dalle lettere T, S, N. Accanto ad esso è incastonato un mattone nel quale compare l'incisione: "1509 de marzo"; l'iscrizione non è chiara ma sembra riferirsi ad un restauro della chiesa, anche perché il Consiglio
Generale di Montecosaro in questo periodo decise di dare inizio ai lavori per la riparazione del tempio. Sullo stesso fianco all'altezza dell'ultima campata., si innesta una porzione di fabbricato, perpendicolare alla navata, da considerarsi come l'unico frammento superstite del monastero.
Maggiormente conservato appare il lato settentrionale costruito anch'esso in mattone e coronato, all'imposta del tetto, da archetti e cornice a dentelli.
Molto complessa è l'articolazione della parte absidale costruita intorno ad un emiciclo anulare dal quale sporgono tre cappelle radiali. La sopraelevazione quattrocentesca della navata ha imposto di conseguenza un'ulteriore elevazione del catino absidale che, dall'esterno, si presenta come un tiburio poligonale coronato nel secolo XVIII da uno svettante campanile a vela. La qualificazione decorativa della cortina muraria ha comunque ripreso i motivi a lesene ed archetti già presenti nella porzione absidale originale.

Apparato decorativo

L'intera zona presbiteriale della chiesa conserva ampie tracce di affreschi del tutto leggibili nella parte absidale. Il ciclo pittorico, nel resto delle navate è invece gravemente danneggiato da abrasioni e cadute di colore che ne compromettono, a volte, una corretta interpretazione critica.
Subito dopo il restauro dei 1927-28, Luigi Serra si pose il problema di investigare sull'autore del grande affresco absidale che assegna al primo quarto del XV secolo, pur avvertendovi un'impostazione di retroguardia culturale rispetto alla datazione. Il riferimento più diretto appare al Serra quello relativo al Nelli ed agli affreschi della cappella Trinci, interpretati però senza vigore e personalità nonostante vi riconosca una certa leggerezza ed eleganza di impostazione. Nel 1973 il Rossi sposta al XIV secolo la realizzazione degli affreschi e ha così modo di proporli come antefatti bolognesi sui quali si sarebbe in seguito formato Lorenzo Salimbeni.
La discorde collocazione cronologica trae origine da un'iscrizione che corre lungo le scene degli affreschi le cui gravi lacune rendono estremamente controversa la lettura, differentemente interpretata: MCCVII dal Garulli; MCCXLII dal Romani e dal Pallotta e MCCCXVII dal Laureati. Le ultime tendenze interpretativi sono orientate verso una lettura che assegna al secolo XV l'iscrizione.
Il Crocetti, assegnando gli affreschi ad Ugolino di Vanni da Milano, propone la data
1420; l'Avarucci sposta in avanti la data di 27 anni, escludendo così l'ipotesi attributiva dei Crocetti.
Oggettivamente la lettura dell'iscrizione lascia ampi margini di discrezionalità interpretativa e non può essere assunta come elemento probante e di sicuro riferimento.
La trattazione fisiognomica delle figure, così come la loro ambientazione nello spazio, suggeriscono una mano diversa da quella dei raffinato Ugolino, troppo attento ai particolari e già sensibile alle nuove tendenze dell'inquadramento prospettico, per perdersi in una composizione a fasce verticali che il Serra definì quasi romanica.

La chiesa, dichiarata monumento nazionale negli anni '30, e la canonica sono ancora proprietà del comune di Camerino.

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