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La Chiesa cresce e si manifesta come comunità di Fede, Preghiera e Carità. Tre dimensioni inscindibili. Come renderle più complementari?

La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo di Gesù Cristo con la Parola, a celebrarLo nella Liturgia e a renderLo visibile nella Carità. Ogni comunità cristiana, e ogni singolo suo membro, non può mai dimenticare che nessuna di queste dimensioni è separabile dall’altra e che ognuna si alimenta nell’esperienza dell’altra. Il Concilio Vaticano II ha con chiarezza riaffermato che queste tre dimensioni sono le colonne portanti della Chiesa, che la fondano e sulle quali essa vive, si sviluppa e si dona.
Io credo che dal Concilio Vaticano II in poi si è ripetuto questo principio in tutti i modi possibili e in ogni realtà formativa (soprattutto nella nostra Chiesa Locale) ma purtroppo dobbiamo costatare che non è ancora recepito nella sua pienezza e attuato nella realtà. Come ricordava il Card. Martini ad un Convegno di alcuni anni fa, organizzato dalla Caritas Italiana, si ha la sensazione, almeno nella Chiesa Italiana di un forte sbilanciamento nella vita delle comunità cristiane verso la Catechesi e la Liturgia, e un’attenzione quasi nulla o irrilevante sul fronte della Carità. Ogni parrocchia ha i suoi catechisti e i suoi collaboratori nella liturgia, ha sale per la catechesi e ambiti liturgici, ha formazione e celebrazioni ma rare sono quelle parrocchie che hanno una formazione permanente alla carità, al servizio e sale per l’accoglienza e per l’ascolto.

Voi chiedete a me come renderle più complementari?

Innanzitutto penso di non essere né all’altezza di rispondere, né di avere bacchette magiche. Penso innanzitutto che non dobbiamo parlare di complementarietà, ma di costruzione di un unico progetto che abbia in sé, unite in modo inscindibili, queste tre dimensioni. Penso inoltre che potremmo e dovremmo cambiare il nostro linguaggio a riguardo: non ci troviamo dinanzi a tre dimensioni, ma alla vocazione cristiana che per essere autentica deve diventare in ogni realtà, in ogni momento storico, in ogni sua espressione, annuncio di una Parola, celebrata nella Liturgia e testimoniata nella carità. Quindi è un’unica dimensione che coinvolge ogni aspetto della nostra vita. Ma se volete qualche risposta più concreta, io penso che sia necessario partire dalle comunità parrocchiali con una formazione sempre più attenta a non scindere e dividere mai queste tre dimensioni; fare in modo che nella formazione dei futuri presbiteri, nei seminari, sia non solo affrontato come problema ma sia trasformato in esperienza pastorale concreta, attraverso l’attenzione ad una formazione specifica e teologica sui temi della Carità, della mondialità, della globalizzazione, delle vecchie e nuove povertà, della condivisione, della giustizia , della pace, della non-violenza, ecc.
Insomma bisognerebbe che nella vita di tutta la Chiesa la Carità abbia un posto centrale e preminente che informa la stessa Fede, la Liturgia, la Catechesi, e ogni ambito della nostra esperienza ecclesiale. Il nostro Arcivescovo ha dimostrato, in diversi modi, di porre il tema della Carità come centrale e fondante di ogni azione pastorale e di questo dobbiamo non solo gioire ma essergli riconoscenti. Poi le strade e le strategie per raggiungere questa unità tra le diverse dimensioni nella vita della nostra Chiesa sono tante e tutte possibili, ma c’è bisogno della volontà di tutti a costruire un progetto comune.

La Caritas è lo strumento operativo per favorire e realizzare la Pastorale della Carità. Come ha operato e sta operando ora in Diocesi?

Per quanto riguarda il passato, posso solo dire che la Caritas diocesana ha operato nel migliore dei modi, con tanto coraggio, energia e passione, grazie anche agli ultimi Direttori che si sono succeduti, in particolare Mons. Giuseppe Di Chiara e Mons. Armando Monadi. La nostra Caritas Diocesana ha messo in atto in questi ultimi decenni tantissime iniziative formative e ha attivato molti Centri di formazione e di ascolto, di crescita e maturazione di un laicato maturo e generoso in linea con le indicazioni della CEI. Quindi dobbiamo dire un grazie senza limiti anche a tantissimi laici e presbiteri che in questi anni hanno collaborato con passione, generosità e competenza. La modalità poi con la quale la Caritas diocesana ha operato in questi anni mi sembra sia stata di stretta collaborazione con le diverse realtà pastorali della Diocesi e in stretta sintonia con le altre Caritas diocesane delle Marche e soprattutto con la Caritas Italiana. Ha sviluppato diversi progetti e stretto molte collaborazioni con associazioni di volontariato e soprattutto ha sostenuto e favorito la nascita e lo sviluppo di diversi Centri d’ascolto in tutta la Diocesi. Attualmente la Caritas Diocesana sta sviluppando maggiormente le collaborazioni avviate; stiamo cercando le modalità e strategie per dare a tutte le parrocchie la spinta a far sorgere le Caritas parrocchiali e nuovi centri di ascolto e di accoglienza; stiamo progettando Corsi di formazione sia a livello vicariale che diocesano; stiamo cercando di ravvivare sempre più la formazione spirituale come fonte e ricchezza per ogni azione; stiamo cercando di mettere al centro del nostro lavoro l’interesse per i giovani, perché sono la ricchezza e il futuro della nostra Chiesa locale e dell’azione pastorale della Caritas.
Le idee, le iniziative e i progetti non mancano, come non mancano in tutti i collaboratori della Caritas diocesana la passione, la gioia e la voglia di esserci e di servire.

  Si insiste molto sulla “prevalente funzione pedagogica” della Caritas. Come si sta realizzando nel nostro territorio questa funzione? E’ possibile anche parlare di “pedagogia dei fatti”?

La funzione pedagogica della Caritas non è solo prevalente ma costitutiva e fondante l’azione e l’essere della Caritas. E’ stata l’intuizione geniale del grande Papa Paolo VI che comprese la necessità di un passaggio epocale della Carità: dalla Carità come assistenza alla cultura della Carità e alla Carità come pedagogia dell’amore, del dono e ancora della carità come espressione autentica della pastorale della Chiesa. Così come in altri ambiti, anche nel campo della Carità non è compito della Chiesa la gestione diretta di servizi (tranne che per necessità o momento di supplenza). E’ invece compito di un laicato adulto e maturo e delle sue forme ed espressioni quali per esempio associazioni di volontariato, centri di accoglienza, gruppi spontanei di servizio ecc.
Il servizio della Caritas è più arduo, difficile ma meraviglioso: è essere lievito di tutta la comunità cristiana, della Chiesa, per educare tutti al comando evangelico dell’amore verso il prossimo e alla testimonianza del Cristo-Amore.
Compito della Caritas è risvegliare i cuori e le menti di tutti al dono gratuito, al servizio, ai grandi valori della giustizia e della pace, ma educare anche e soprattutto a cercare e saper riconoscere le cause che producono le povertà, le ingiustizie, le disuguaglianze. Occorre tanto amore, tanta pazienza, tanta fiducia per vivere questo servizio pedagogico nelle nostre comunità parrocchiali e in tutte le realtà ecclesiali. Non volendo ripetermi, dico solo che oggi la Caritas diocesana cerca e si sforza con impegno perché si realizzi nel nostro territorio la funzione pedagogica attraverso soprattutto una formazione permanente sia dei laici che di alcuni presbiteri attraverso iniziative diverse: il “Laboratorio diocesano per la formazione dei collaboratori parrocchiali”; la formazione nelle singole parrocchie che lo richiedono; la promozione fra i giovani del “Servizio Civile Volontario”, la diffusione dei sussidi che inviamo a tutte le comunità parrocchiali in Avvento ed in Quaresima; le giornate di studio e di ritiro; il convegno annuale delle Caritas Parrocchiali, ecc.
Alla fine mi chiedete se è possibile parlare di “pedagogia dei fatti”: io non amo molto gli slogan e quindi penso che la vera pedagogia della Caritas è quella di partire più che dai fatti, partire da Gesù Cristo, dall’amore per Lui e in Lui per la Chiesa e per l’uomo. Se il punto di partenza è questo allora la Caritas diventa pedagoga dell’amore, sacramento della Chiesa, servizio all’uomo. Non mi piace molto parlare dei “fatti” non perché non sia d’accordo sulla necessità dell’azione, del servizio, ma perché il centro del nostro servizio deve essere sempre l’uomo nella sua totalità e perché oggi siamo di fronte a sfide nuove che spesso vanno al di là dei “fatti” perché investono nuove povertà quali la solitudine, il vuoto, lo smarrimento, i rapporti economici e le loro correlazioni, ecc. Quindi “fatti” sì, ma prima di tutto pedagogia dell’amore, pedagogia del quotidiano, pedagogia dei valori e della formazione.

Dal tuo osservatorio e dalla tua esperienza quali sono i problemi emergenti con cui la nostra Chiesa è chiamata a confrontarsi?

Prima di tutto penso (e forse lo giudicherete strano se lo dice il direttore della Caritas) che uno dei più urgenti problemi emergenti sia il confronto con il mondo giovanile, che appare sempre più disorientato, privo di modelli e di testimoni a cui guardare e affidarsi. E sarà certamente un confronto difficile, ma sarà certamente anche una sfida che richiede tanto amore, passione, servizio e dedizione. Un altro problema è certamente il confronto con i fratelli immigrati che ci pongono tanti interrogativi a cui siamo chiamati a rispondere e a cui siamo chiamati a dare una testimonianza autentica e concreta della nostra Fede. Educare, educandoci, non solo al rispetto delle diverse culture, alla tolleranza, alla condivisione, ma soprattutto al riconoscere in ogni uomo, e soprattutto nello straniero, Cristo che bussa alla porta della nostra vita e della nostra Chiesa. Non basta dare da mangiare, dare un vestito o offrire un posto per dormire (cose necessarie e prioritarie), ma occorre sapersi incontrare, conoscere, convivere con e nell’amore.
Un altro problema emergente (tra quelle che io considero nuove povertà): i disagi psichici, l’aumento esponenziale delle famiglie in gravi condizioni di povertà materiale (in un società dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri ed emarginati). Poi vi sono altri problemi e altre sfide ma avremo modo, nel futuro, di parlarne e discuterne in molte occasioni di confronto e di formazione.

Si discute molto sulla crisi del volontariato. Quali strade intravedi per risensibilizzare al servizio verso i più deboli?

E’ vero si discute molto e da tanto tempo ormi sulla crisi del volontariato, però secondo me con angolature diverse. Io, sapendo di andare contro corrente, penso che non c’è una vera crisi del volontariato, perché c’è un grande desiderio di servizio e di condivisione, soprattutto nei giovani.
La vera crisi, a mio avviso, è delle agenzie di volontariato (associazioni, movimenti, la Chiesa stessa) che non riescono, o meglio non riusciamo a saper cogliere questa domanda e comprendere le risposte più adeguate. Penso che alle tantissime persone che si sentono disponibili a svolgere un servizio nel volontariato, spesso offriamo solo una collaborazione in servizi oramai datati e soprattutto di delega e di assistenzialismo. Ricordo che quando fondai, insieme a 19 laici impegnati dell’azione Cattolica di Porto S. Giorgio, l’Associazione di volontariato “La Strada”, l’idea portante era quella di un’associazione che non attivava solo dei servizi (utili e necessari) ma che partiva da un’idea basilare e fondamentale: volontariato doveva significare capacità di pensare, elaborare, progettare, essere coscienza critica e “luogo” di analisi delle cause delle povertà e delle emarginazioni.
Io penso che oggi, soprattutto i giovani chiedono questo: non solo dare il proprio contributo in servizi diversi, ma sentirsi coinvolti nella costruzione di una “cultura della solidarietà”, che significa partire dai bisogni e dalle risposte a tali bisogni per impegnarsi a eliminarne le cause. Servono anche dei “valori alti” che diano senso al servizio e siano la forza del proprio operare. Le nostre Associazioni invece, in buona fede e pur lavorando in modo encomiabile e con pochissime risorse, hanno puntato molto (forse troppo o unicamente) a svolgere servizi di supplenza, di delega e di emergenza, che non soddisfa le motivazioni più profonde di coloro che si sentono disponibili.
Tutte le agenzie di volontariato organizzano certo tanti momenti di formazione, ma spesso molto teorici e soprattutto senza il coraggio di fare analisi critiche delle ragioni del disagio e con poco coraggio di denuncia.
Occorre quindi metterci tutti in un atteggiamento critico e ricominciare daccapo per capire le vere origini di questa crisi e avere il coraggio di riconoscerla non solo (come facciamo sempre) nella domanda ma nella risposta. Occorre poi, nello specifico, che le comunità cristiane sentano come un vero ministero il servizio della carità e educhino tutti alla sensibilizzazione e al dono gratuito.
Noi parroci in particolare dovremmo avere più coraggio a “perdere” qualche collaboratore nelle attività parrocchiali per donarlo al volontariato. Però serve che convertiamo il nostro modo di pensare e vedere il volontariato non solo come un semplice strumento di azione e di servizio materiale, ma come una testimonianza autentica e privilegiata di Annuncio della Parola, di celebrazione dell’Amore di Dio per gli uomini e di incontro reale con il Cristo in mezzo a noi.

Emergenze, educazione alla mondialità, problemi dell’ambiente, la pace... La Caritas ha svolto una funzione profetica e di stimolo verso questi settori. Perché tante resistenze e poca recezione alla base?

A questa domanda mi verrebbero istintivamente risposte scontate e analisi fritte e rifritte. Cercherò di essere il più possibile concreto e comprensibile. Se vogliamo e dobbiamo essere sinceri e dire la verità (come ci insegna Gesù nel Vangelo) non possiamo non avvertire il sentire comune, all’interno della Chiesa (forse purtroppo maggiormente da parte dei presbiteri) che la Caritas è un’agenzia che elargisce e “deve” elargire cose materiali ai bisognosi e non deve porsi altri interrogativi (pena l’accusa di fare politica!). Oltre a ciò dobbiamo con carità riconoscere che nelle nostre comunità cristiane non è cresciuto l’interesse e il bisogno verso i grandi temi che il mondo di oggi pone con drammaticità e urgenza: penso alla grande discussione sulla globalizzazione con i suoi meriti e i suoi tanti aspetti critici e negativi; penso alla pace e all’impegno coraggioso di tutti nella costruzione della pace fondata sulla giustizia; penso alla non-violenza e alla disobbedienza civile di fronte a realtà che offendono e opprimono le più elementari libertà e la dignità dei più deboli; ecc.
Come ricordavo in una mia precedente risposta, con le parole del Card. Martini, possiamo ancora dire che la nostra Chiesa locale, come forse tutta la Chiesa occidentale, è molto impegnata sul fronte della Catechesi e della Liturgia, ma quasi assente e poco attenta alla dimensione profetica, alla dimensione della testimonianza attiva, sia nel sociale che sui grandi temi che il mondo di oggi pone innanzi ad ogni credente. Non sono pessimista, ma credo che il Vaticano II non è entrato realmente in profondità (ma forse neppure in superficie) nel cuore e nelle intelligenze di noi cristiani. Le resistenze sono nella norma e non mi spaventano: mi addolora e mi preoccupa invece la poca ricezione, l’indifferenza, il silenzio. La Chiesa deve essere profetica  e coraggiosa perché il Suo Annuncio trascini i cuori e le menti di tutti coloro che hanno buona volontà. Ho accettato con gioia questo servizio dall’Arcivescovo perché la speranza è più forte di ogni realtà e sento la gioia di servire la Chiesa di Fermo con la certezza che le nostre comunità cristiane hanno energie, forze, risorse e coraggio per testimoniare e annunciare Il Vangelo cogliendo i segni dei tempi e hanno la capacità di comprendere quali possono essere le strade per farlo in un mondo che cambia: nella Fedeltà alla Parola e con piena fiducia e amore agli uomini che incontriamo sul nostro cammino.