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Cappellania    Ospedaliera
"Fatebenefratelli e Oftalmico
"

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Andrea   Spiriti

"Un bellissimo pezzo di fabbrica"

prefazione di
Maria Luisa GATTI PERER

Preside
ISTITUTO PER LA STORIA DELL'ARTE LOMBARDA

con un contributo di
Mario Manzin

Responsabile della Tutela degli antichi organi lombardi.


Nel presente studio sono esaminati due edifici distinti: il vecchio ospedale Fatebenefratelli, eretto a partire dal 1588 e demolito nel 1937; l'Ospedale Fatebenesorelle, eretto a partire dal 1836 e denominato dal 1925 nuovo Fatebenefratelli; cenni sono dedicati agli edifici milanesi in varia misura collegati a tali complessi,
e in particolare alla filiale di via S. Vittore.

Il capitolo primo è relativo al vecchio Fatebenefratelli e al materiale da esso proveniente e conservato in altre sedi; il capitolo secondo al nuovo Fatebenefratelli e al materiale pittorico e scultoreo in esso conservato, che in parte è stato eseguito appositamente e in parte proviene dall'antico ospedale; il capitolo terzo alla quadreria di soggetto sacro; il capitolo quarto alla quadreria profana, con il nucleo dominante della serie dei benefattori.  Ovviamente tutto il materiale relativo ai complessi: disegni, piante, incisioni ma anche oreficeria e tessuti sacri, è collocato in corrispondenza.
Nel 1588 l'arcivescovo di Milano Gaspare Visconti, unicamente alle autorità civili, fondava l'Ospedale Fatebenefratelli. Si completava così una lunga vicenda che si volle leggere all'insegna di San Carlo, ma che in realtà ribaltava i piani urbanistici del Borromeo a vantaggio dell'ordine degli Ospedalieri di San Giovanni di Dio, legati al governo spagnolo.
L'area prescelta era adiacente al Collegio dei Nobili, potente istituzione scolastica carliana, e il primo convento/ospedale venne progettato da Martino Bassi come struttura centrata su di un chiostro unico con abile equilibrio fra il settore ospedaliero e quello conventuale.
Già nel 1596 i religiosi dovevano affrontare una doppia crisi: da un lato l'ostilità di Clemente VIII nei confronti dell'ordine, dall'altro la causa legale intentata dal Collegio dei Nobili e appoggiata dall'Arcivescovo Federico Borromeo per rientrare in possesso dell'area e distruggere l'edificio.  Il durissimo scontro si concluse con la vittoria dei frati nel 1606, quando il pesante intervento di Filippo III costrinse Papa Paolo V a un vigoroso intervento presso Federico Borromeo per troncare la lite.
Dopo la crisi, la fabbrica venne ampliata e completata con la costruzione della chiesa di S. Maria d'Aracoeli; sono gli anni in cui pare svolgere un ruolo dirigente Aurelio Trezzi, coadiuvato da Giovanni Battista Pessina.  Nel secondo Seicento l'architetto Giovanni Battista Paggi realizzò la facciata della chiesa, mentre il collega Carlo Cesare Osio lasciava un legato per la costruzione di un'ala ospedaliera forse da lui stesso progettata.
Tutta questa prima fase dell'edificio, che ora non esiste pure, compresa la facciata settecentesca dell'ospedale, è documentata da disegni e incisioni.  Rimangono alcuni altari che sono stati rimontati nella parrocchiale di Garbagnate milanese e alcun e pale conservate presso il nuovo ospedale.  Perduto è invece l'apparato scultoreo, che pure dovette essere di notevole qualità.
L'età napoleonica creò al complesso notevoli problemi, ma la finalità benefica lo preservò dal peggio e anzi gli inizi della Restaurazione videro un ambizioso intervento di ammodernamento, progettato dall'architetto Pietro Gilardoni e realizzato fra il 1822 e il 1843; nel 1846 Nicola Dordoni realizzava una grandiosa filiale presso S. Vittore.
Quelle successive sono le tappe di una lunga decadenza: passaggio ai laici della direzione (1870), allontanamento dei religiosi (1885), unificazione col Fatebenesorelle (1925), fino la giungere nel 1937 alla distruzione della chiesa e del vecchio complesso.  L'importanza dei personaggi storici coinvolti e la presenza di architetti fra i più emblematici del trapasso fra Manierismo e Barocco fa del cantiere del vecchio Fatebenefratelli un campo d'indagine privilegiato.  L'abbondanza di incisioni, disegni, documenti d'archivio e, per gli anni più recenti, fotografie consente infatti tuttora di farsi un'idea chiara della genesi del complesso che, attraverso i molteplici ampliamenti, si mantenne fedele all'impostazione conferitagli dall'architetto Martino Bassi.  Il Fatebenefratelli costituisce in effetti testimonianza di quel pragmatismo funzionalista che pare caratterizzare la prassi architettonica milanese fra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo, e non può essere trascurato nell'ambito di una storia dell'architettura a Milano, con particolare riferimento ai complessi ospitalieri.
Il 18 aprile 1836 veniva posta la prima pietra dell'Ospedale Fatebenesorelle, attuale Ospedale Fatebenefratelli, sito in un'area all'epoca quasi disabitata ma appartenente ad un importante settore di Milano, delimitato dai bastioni delle mura spagnole da Porta Tenaglia a Porta Orientale, dal Corso di Porta Orientale, dalle vie che costeggiano le mura medioevali e dalla zona dell'Arena.Il progetto era di Giulio Aluisetti, che diresse la costruzione fino al suo compimento del 1853.  Il risultato fu un edificio semplice nella planimetria (quadrangolo con cortile centrale) ma complesso nel raffinato equilibrio fra funzionalismo, decoro neoclassico e contenuta ma avvertita grandiosità monumentale, nonché abile recupero di tipologie e prassi edilizie del secolo precedente.
Progettata e costruita dall'Aluisetti, ma ampiamente ripresa per tutto il secolo diciannovesimo appare la cappella, oggi singolare commissione di valenze neoclassiche e di interventi eclettici, con il "corpus" notevole di affreschi e dipinti rispettivamente di Carlo Giovanni Fontana, Baldassarre Verazzi, Giuseppe Penuti.
Un elemento caratterizzante del complesso è costituito dall'articolata serie delle sculture: il S. Giovanni di Dio di Pompeo Marchesi già nel vecchio ospedale, la Carità di Luigi Marchesi e i rilievi dello stesso Marchesi, di Stefano Girola e di Gaetano Benzoni sulla facciata, il Ritratto di Maria Ciceri Ala di Ponzone e quello di Laura Visconti di Modrone Ciceri nel cortile, entrambi opera ancora di Luigi Marchesi, sono i pezzi più significativi di una coerente serie che ben documenta l'alta qualità della scultura lombarda d'età neoclassica.
Ancora più complessa, e per molti versi anticipatrice del gusto post-neoclassico appare la Carità di Vittorio Nesti oggi nel cortile, ma concepita per lo scalone.  Lo stesso, su scala minore, vale per la Pietà in terracotta di Benedetto Cacciatori ora in cappella.  Malgrado i danni bellici e il susseguirsi d'interventi specialmente nella cappella, il complesso costituisce testimonianza di alta qualità dell'arte neoclassica a Milano, con una pluralità d'interventi architettonici, pittorici, scultorei e decorativi dietro i quali è possibile e a volte documentabile ricostruire la mente coordinatrice dell'Aluisetti.
Merita rilievo l'esistenza presso l'archivio Rettorile e l'archivio Ospedaliero di un cospicuo fondo di disegni e piante.  Tale corpus consente di seguire meticolosamente il procedere della fabbrica ottocentesca, nonché di ricostruire con cura la personalità artistica dell'Aluisetti.
Emerge un quadro complesso di committenze e volontà artistiche, colto nel momento cruciale del trapasso fra tardo neoclassicismo e prime valenze eclettiche. E' una realtà composita, dove il neo-barocco s'incontra con la volontà dell'Aluisetti di rileggere quasi in termini neo-manieristici la realtà neoclassica con una spregiudicatezza che non arretra davanti alle più originali citazioni. Viene giustamente sottolineata, in questa sede, la capacità di adattare la medesima tipologia di capitello ionico alle varie realtà dell'ospedale: rigoroso e austero nelle facciate sul cortile, controllato ma più aperto agli effetti pittoreschi nell'antica corsia dell'Addolorata, finemente decorato nella cappella, esuberante sospeso fra Neoclassicismo ed Eclettismo nell'attuale sacrestia. 

L'Ospedale Fatebenefratelli conserva trentasette dipinti di soggetto sacro dal XVI al XIX secolo, resti di una raccolta più ingente in parte alienata negli ultimi due secoli e in parte perduta con l'ultima guerra.
Tre opere sono sicuramente pale d'altare provenienti dall'antica chiesa di S. Maria d'Aracoeli: il dipinto eponimo, di fine Cinquecento, i SS.   Gallicano e Giovanni di Dio di Carlo Preda, l'Ecce Homo di Mariano Collina.  Tutti e tre hanno una certa importanza: la pala dell'Aracoeli pone un difficile ma interessante problema di pittura manieristica a fine secolo; il S. Gallicano consente di ricostruire un paesaggio essenziale nella produzione di un pittore come Preda citato con stima dalla giudistica antica ma del quale molte opere sono andate perdute; l'Ecce Homo documenta un prezioso innesto milanese di classicismo accademico bolognese in pieno Settecento.

Il trapasso fra Cinque e Seicento è attestato da altre tre opere (Noli me tangere, Pietà e devoto, e Buon samaritano che assiste un ferito), mentre fra le tredici opere seicentesche spiccano la Flagellazione attribuita ad Antonio Maria Crespi Castoldi il Bustino, le quattro Storie della Passione vicine ad Ercole Procaccini il Giovane e le accademizzanti Strage degli Innocenti e Nozze di Cana.  Nel nucleo di sette opere del diciottesimo secolo risultano le tre effigi di religiosi ospedalieri provenienti dall'antico convento.  Meritano segnalazione anche due copie d'incerta datazione, rispettivamente tratte dall'Addolorata di Tiziano e dall'Incredulità di S. Tommaso del Caravaggio.

Anonime ma interessanti le nove tele ottocentesche fra Neoclassicismo, romanticismo ed eclettismo: importante l'Addolorata di Cesare Pezzi, già sull'altare di una corsia ospedaliera.

Per quanto fortemente diminuita sul piano numerico e con esemplari spesso bisognosi di restauro, la quadreria d'argomento sacro è particolarmente importante per le pale d'altare e le opere di sedicesimo e diciassettesimo secolo, che consentono il ripristino d'importanti tasselli nell'evoluzione della pittura milanese.
Accanto alla quadreria di soggetto sacro, l'odierno Ospedale Fatebenefratelli possiede una raccolta profana comprendente due tele ottocentesche: Ludovico il Moro presenta a Carlo VII il priore della Certosa di Pavia e Un vecchio che esce da una chiesa di campagna, nonché sessantasei ritratti di benefattori, frutto della confluenza della raccolta Fatebenefratelli e di quella Fatebenesorelle unificate: vengono analizzati in questa sede solo i dipinti eseguiti entro l'anno 1900.Tra questi venti vanno dal sedicesimo al diciottesimo secolo. Di elevata qualità risultano i ritratti di Giovanni Battista Dominione e di Anna Cecilia Visconti; interessanti anche sul piano iconografico sono due effigi di ingegneri-architetti collegiati, Aurelio Trezzi e Carlo Cesare 0sio. I rimanenti quarantacinque dipinti sono ottocenteschi, con ampia presenza dei pittori Giovanni Battista Sassi, Giovanni Pock e Antonietta Bisi e articolata documentazione delle tendenze prevalenti nella pittura milanese; a volte i dipinti sono vere e proprie varianti di quella dell'Ospedale Maggiore.
Il senso della quadreria di ritratti, oltre all'alta qualità di alcuni esemplari e all'equilibrato gusto pittorico di tutti, risiede soprattutto nella sua unitarietà, nella possibilità di seguire attraverso essa e l'ampia documentazione archivistica le vicende del ritratto a Milano, in parallelo con le altre raccolte ospedaliere (Ca' G da, Pio Luogo Trivulzio, Martinitt, Stelline).
Vi è purtroppo il problema dello stato di conservazione precario di più di un pezzo, che rende prudente il discorso attributivo. La collezione, praticamente inedita come la massima parte delle realtà sin qui citate, costituisce comunque un momento importante nella cultura figurativa milanese anche perché, a differenza della raccolta di pittura sacra, pare che le perdite non siano state molto ampie, e comunque anteriori all'Ottocento.
Abbiamo voluto esaminare nel corso della ricerca la storia dell'Ospedale Fatebenefratelli a iniziare dall'edificio eretto nel 1588 per opera di Martino Bassi e demolito nel 1937 per giungere a quello fondato nel 1836 su progetto dell'Aluisetti col titolo Ospedale Fatebenesorelle e denominato dal 1925 Ospedale Fatebenefratelli.  Si tratta in sostanza della storia di due diversi edifici, il primo dei quali può essere restituito alla memoria solo attraverso documenti d'archivio e fotografici.
Occorre avvertire che la ricerca non è del tutto esaustiva: quanto attiene la quadreria ad esempio ogni definitiva valutazione potrà essere compiuta solo quando si sarà proceduto a un auspicabile restauro.  Degni di studio specialistico, che in questa sede non è stato compiuto, sono inoltre il mobilio e i vasi dell'antica farmacia, oggi conservati in quella nuova di p.za Principessa Clotilde.
Nel licenziare alle stampe questo volume - opera di un mio giovane ma attento e solerte collaboratore che ha ripercorso la storia dei due edifici ospedalieri - desidero ringraziare il Rettore Don Mario Monti che ha promosso tale ricerca e la sua pubblicazione condividendo fin dall'inizio l'esigenza di un recupero non solo conoscitivo dell'intera struttura.
Infatti, da quando ebbi a parlare con lui - alcuni anni orsono dell'importanza e del valore artistico dell'Ospedale, si fece carico di impostare interventi di restauro riguardanti rispettivamente l'organo cui dedica un breve saggio Mario Manzin e gli affreschi nella chiesa dei SS.  Giovanni di Dio e Vincenzo de' Paoli.  Al suo intervento si deve anche la messa a disposizione dell'archivio l'Ospedale, nonché l'intera campagna fotografica.
Ma un altro ringraziamento mi sia consentito in questa sede formulare, anche se non pertinente alla storia artistica del Fatebenefratelli, ai medici e al personale tutto dell'Ospedale, della opera ebbi ad avvalermi nel corso degli anni più volte, per me personalmente e per i miei familiari.  Questa ricerca vuole essere anche un gesto di gratitudine nei confronti di una struttura che, sperimentata in diversi reparti, si rivelò sempre competente e umanamente attenta.  E anche questo costituisce testimonianza di una continuità storica per quanto attiene la funzione di un edificio sorto fin dall'inizio come ospedale.