IL RAPPORTO INTERGENERAZIONALE. Giovani e adulti: dialogo possibile? |
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I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati i primi e i principali educatori di essa (Concilio Vaticano II GE n.3).
In quanto frutto e segno dei loro amore paterno e materno, il compito educativo dei figli appartiene in modo nativo, originario e imprescindibile ai genitori esso, inoltre, si configura come vero e proprio "ministero", legato al sacramento dei matrimonio (Sinodo 47° cap. 21 n. 416).
I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli e hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori (Lettera alle famiglie 1994 n. 16).
Il compito dell'educazione affonda le radici nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all'opera creatrice di Dio: generando nell'amore e per amore una nuova persona, che in sé ha la vocazione alla crescita e allo sviluppo, i genitori si assumono perciò stesso il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana Il diritto dovere educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com'è alla trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altro usurpato (Familiaris Consortio n. 36).
La famiglia è il primo luogo in cui la personalità prende forma ricevendo il senso dell'esistenza ed è la comunità in cui si realizza la comunione delle persone come segno della "civiltà dell'amore" (Sinodo 47' cap. 21 n. 396).
L'educazione consiste nel generare in senso spirituale. Per rispondere alla domanda: in che cosa consiste l'educazione? Vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore; la seconda è che ogni uomo sì realizza attraverso H dono di se. Questo vale per chi educa e per chi è educato (Lettera alle famiglie 1994 n. 16).
L'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il prezioso frutto dell'amore (Familiaris Consortio n. 36).
Il quarto comandamento "onora tuo padre e tua madre" è unilaterale? Esso impegna a onorare solo i genitori? In senso letterale sì. Indirettamente, però, possiamo parlare anche dell'onore dovuto ai figli da parte dei genitori." Onore vuol dire: riconosci! Lasciati cioè guidare dal convinto riconoscimento della persona, di quella del padre e della madre prima dì tutto, e poi di quella degli altri membri della famiglia. L'onore è un atteggiamento essenzialmente disinteressato. Si potrebbe dire che è "un dono sincero dalla persona alla persona", e in tal senso l'onore si incontra con l'amore. Genitori sembra ricordare loro il precetto divino , agite in modo che il vostro comportamento meriti l'onore (e l'amore) da parte dei vostri figli! (Lettera alle famiglie 1994 n. 15).
Le relazioni tra i membri della comunità familiare sono ispirate e guidate dalla legge della "gratuità", che rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda. Nella famiglia 1e diverse. generazioni si incontrano e si aiutano con le altre esigenze della vita sociale" (Concilio Vaticano Il GS n. 52).
Il "noi " dei genitori, del marito e della moglie, si sviluppa, per mezzo della generazione e dell'educazione, nel "noi" della famiglia, che s'innesta sulle generazioni precedenti e si apre a un graduale allargamento. Al riguardo, svolgono un ruolo singolare, da un lato, i genitori e, dall'altro, i figli dei figli. Se, nel donare la vita, i genitori prendono parte all'opera creatrice di Dio, mediante l'educazione essi diventano partecipi della sua paterna e insieme materna pedagogia (Lettera alle famiglie 1994 n. 16).
L'itinerario educativo conduce verso la fase dell'autoeducazione, che si raggiunge quando, grazie a un adeguato livello di maturità psico fisica, l'uomo comincia a "educarsi da solo ". Nonostante tutto, però, il processo di autoeducazione non può non essere segnato dall'influsso educativo esercitato dalla famiglia e dalla scuola sul bambino e sul ragazzo. Perfino trasformandosi e incamminandosi nella propria direzione, il giovane continua a rimanere intimamente collegato con le sue radici esistenziali (Lettera alle famiglie n. 16).
Pur in mezzo alle difficoltà dell'opera educativa, oggi spesso aggravate, i genitori devono con fiducia e coraggio formare i figli ai valori essenziali della vita umana. In una società scossa e disgregata da tensioni e conflitti per il violento scontro tra i diversi individualismi ed egoismi, i figli devono arricchirsi non soltanto dei senso della vera giustizia, ma anche e ancor più del senso del vero amore, come sollecitudine sincera e servizio disinteressato verso gli altri in particolare i più poveri e i più bisognosi. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità: in quanto comunità d'amore, essa trova nel dono di sé la legge che la guida e la fa crescere. E la comunione e la partecipazione quotidianamente vissuta nella casa, nei momenti di gioia e di difficoltà, rappresenta la più concreta ed efficace pedagogia per l'inserimento attivo, responsabile e fecondo dei figli nel più ampio orizzonte della società (Familiaris Consortio n. 37).
Le famiglie crescano nella dimensione dell'apertura al prossimo vivendo la carità al loro interno e intorno a sé. La famiglia diventi sempre più il luogo di autentiche e ricche relazioni interpersonali tra coniugi e tra genitori e figli. La capacità della famiglia di creare fecondità intorno a sé si manifesti in una cordiale ospitalità, nell'attenzione ai poveri e ai bisognosi, nell'assunzione di responsabilità educative e sociali per rispondere al bisogno di umanità che si fa sempre più vivo nella nostra società (Sinodo 47' cap. 21 n. 418).
Ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poiché questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale. Rientra appunto nelle sue funzioni favorire in diversi modi l'educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto (Concilio Vaticano Il GE n. 3).
Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all'opera procreativa ed educativa. Le famiglie sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri. il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (Familiaris Consortio n. 44).
L'ultima connessione tra
la famiglia e la società, come esige l'apertura e la partecipazione
della famiglia alla società e al suo sviluppo, così impone che
la società non venga mai meno al compito di rispettare e promuovere
la famiglia stessa. La società e più specificamente lo Stato,
devono riconoscere che la famiglia è "una società che gode
di un diritto proprio e primordiale" (Familiaris Consortio n. 45).
Intervento della Dott.ssa LEDA BERTOLINI Dipartimento di Sociologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 20 Aprile 1998
Questo intervento è
volto ad approfondire il tema della famiglia e del suo rapporto con i figli
giovani o comunque adolescenti.
Premetto che il mio intervento non intende porsi come un ricettario in grado
di fornire regole infallibili in vista di una perfetta convivenza. Tutti noi
siamo sicuramente consapevoli di quali e quanti problemi affliggano la famiglia
contemporanea, e di come il compito canonicamente attribuitole mi riferisco
in particolare al ruolo di mediazione relazionale, tanto al suo interno quanto
nel rapporto con le altre agenzie di socializzazione si faccia via via più
arduo, parallelamente all'aumento della complessità sociale.
Questa consapevolezza
che noi in questa sede condividiamo, derivandola dalla quotidianità,
inerita comunque un approfondimento di tipo teorico, che consenta di andare
al di là del vissuto "epidermico": questa sera dunque cercheremo
di addentrarci in tiri percorso conoscitivo con maggiore valenza scientifica,
focalizzando l'attenzione sull'ambito sociale In cui si muove la famiglia
odierna e cercando di riflettere insieme sulle possibili strategie e sui percorsi
attuabili da parte delle diverse agenzie di socializzazione. Per dovere di
chiarezza, precisiamo che le agenzie di socializzazione maggiormente coinvolte
in questo percorso insieme con la famiglia sono la scuola, il gruppo dei pari
che per i giovani rappresenta sempre e comunque una risorsa insostituibile
e le associazioni di diversa origine presenti sul territorio.
Detto questo, introduco il mio intervento di questa sera, che si articolerà
in quattro parti, coincidenti con le aree tematiche che saranno oggetto di
trattazione.
Quando si affronta il tema della famiglia non si può prescindere dalla
situazione sociale in cui essa si trova ad agire. Oggigiorno si parla molto
spesso di crisi della famiglia, e probabilmente non a torto. Tuttavia, è
necessario rapportarsi a questa interpretazione/sensazione non arrendendosi
all'evidenza dei fatti, che sembrano prospettare solo difficoltà se
non impossibilità di soluzione, ma cercando di individuare i percorsi
possibili, pur problematici e complessi, e soprattutto le risorse che questa
società sempre così di corsa comunque ci offre giorno per giorno.
Per la chiarezza della trattazione che è sicuramente ampia e sfaccettata
ho ritenuto opportuno predisporre quattro schede esemplificative che comincio
subito a presentare.
Parlando della famiglia
contemporanea, come dicevo, non si può prescindere dall'inserimento
della stessa in un contesto sociale ben preciso. La società odierna
è caratterizzata da un elevato livello di complessità. In linea
di massima, si può affermare che quando i sociologi trattano la complessità
sociale fanno riferimento ad una società che pone sfide e difficoltà
decisamente nuove rispetto al passato, che creano più di un problema
al singolo ed alle relazioni interpersonali che questo instaura, con gli altri.
Il primo problema è questo: la società complessa offre una pluralità,
eterogeneità e contraddittorietà di norme, valori modelli sociali
e culturali. Questo è il primo grande distinguo che generalmente gli
studi di sociologia effettuano tra la società odierna e quelle del
passato, Noi possiamo dunque operare una distinzione rispetto a quelle che
erano le società di cinquanta o sessant'anni fa, laddove il sistema
valoriale e quello normativo si presentavano tra loro in armonia, offrendo
un panorama complessivo assolutamente coerente e condiviso in linea di massima
da tutti i membri della società. La condivisione comune delle norme
esistenti permetteva l'attività di controllo sociale globalmente intesa,
ponendo discriminanti molto nette tra quanto era accettato e quanto era biasimato
socialmente, consentendo a ciascun membro di distinguere abbastanza serenamente
ciò era normale da ciò che non lo era. La società odierna/complessa,
invece, è caratterizzata dalla coesistenza dì più norme,
di più valori che non solo sono molteplici ed eterogenei ma che e questo
complica notevolmente le cose sono anche incerti, mutevoli ed in contraddizione
tra loro, offrendo un panorama normativo e valoriale complessivamente incoerente
ed ambiguo. Va da sé che, in una situazione cosi delineata, non c'è
più posto per schemi rigidi e/o coerenti, unanimemente condivisi: ogni
cosa può essere continuamente rimessa in discussione.
L'altro passaggio rilevante è la frammentarietà dei processi
di socializzazione.
Per processo di socializzazione si intende il percorso di apprendimento sociale
che ciascuno di noi compie nell'arco dell'intera esistenza. La sociologia
tende a distinguere due fasi distinte della socializzazione: la socializzazione
primaria e la socializzazione secondaria.
Il processo di socializzazione primaria è quello compiuto dal bambino
all'interno della famiglia e da questi ancora proseguito nell'ambito dell'agenzia
di socializzazione successivamente subentrante a quella familiare, vale a
dire nella scuola. Con il processo di socializzazione primaria il bambino
assorbe, fa propri ed interiorizza i modelli di comportamento condivisi all'interno
dalla società in cui vive. Il processo di socializzazione secondaria,
invece, si innesta sul percorso tracciato da quella primaria continuandone
l'azione: essa viene fatta classicamente coincidere con l'età giovanile
ed adulta e con l'ingresso nel mondo lavorativo. In questa fase, ogni persona
adulta sì trova a ricoprire un ruolo o più ruoli differenti
nel momento in cui si rapporta ad altri individui adulti.
Se questo panorama era vero e valido qualche decennio fa, oggi non è
più così lineare. Per effetto degli elementi messi in evidenza
nei punti precedenti, questo processo di socializzazione si frammenta. e non
consente possibilità di percorso coerente: oggi assistiamo quindi a
periodi di lunga permanenza dei giovani all'interno dei nucleo familiare,
come nel caso della famiglia lunga; i giovani entrano nel mondo del lavoro
con difficoltà sempre maggiori, trovandosi perciò a subire ed
a far subire ai propri genitori questo prolungamento. questo trascinassi della
loro socializzazione primaria; va da sé che questo stato di cose è
sovente avvertito da ambo le parti come problematico e/o conflittuale.
A questo si aggiunge la crisi generale incontrata dalle agenzie di socializzazione.
Nella società complessa sono visibili ed emergenti le incongruenze
nel sistema educativo. Abbiamo detto che le agenzie di socializzazione di
maggior rilievo per i giovani sono la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari.
tutte le associazioni di tipo sociale e religioso presenti sul territorio.
Ebbene, all'interno della società complessa sembra che ciascuna di
queste agenzie di socializzazione tenda a procedere per conto proprio. senza
un progetto né un percorso comune e condiviso. E questo va a riconnettersi
problematicamente con la frammentarietà generale che abbiamo appena
individuato all'interno dei processi di socializzazione. Una pluralità
di norme, di valori e di modelli sociali e culturali comporta necessariamente
una moltiplicazione e, in certi casi. addirittura una crescita esponenziale
dei ruoli sociali che si è chiamati a svolgere nelle diverse situazioni
e, più specificatamente., dei codici e dei messaggi ritenuti di volta
in volta più appropriati e funzionali al contesto specifico e contingente
di azione. Ogni persona, soprattutto l'adulto, si trova a svolgere più
ruoli contemporaneamente, ruoli che sovente noti dispongono di riferimenti
normativi omogenei.. bensì eterogenei e spesso contraddittori. che
causano un sovraccarico funzionale se non addirittura una complessiva crisi
di gestione dei ruoli stessi. Nei giovani, invece, tutto ciò dà
origine ad una più generalizzata
crisi di identità: è d'altronde intuibile la difficoltà
incontrata da un adolescente nel formarsi una identità stabile in un
panorama così complesso.
La complessità sociale induce anche a quella che sociologicamente viene
definita l'esasperazione dei conflitti di ruolo. Vediamo di chiarire bene
questo concetto.
All'interno di una società complessa, dove abbiamo detto coesistono
sistemi di valori decisamente eterogenei e tra foro contraddittori, non è
più possibile distinguere nettamente ciò che è normale
da ciò che è deviante. Uno stesso comportamento, che può
essere considerato normale se contestualizzato in un arco definito temporalmente
o socialmente, può essere ritenuto deviante in un altro. La maggior
parte delle volte l'individuo, sia esso un giovane o un adulto, si trova a
gestire suo malgrado questa conflittualità di ruoli e anche il sistema
valoriale, che dovrebbe offrire un panorama chiaro e ben delineato delle azioni
normali, lecite e dovute, differenziandole da quella devianti, non gli è
molto d'aiuto, in quanto anch'esso investito dal "disordine" e dall'incoerenza.
A questo si aggiunge l'offerta all'individuo di una gamma quasi infinita di
scelte possibili, che possono parimenti essere tutte valide o non valide a
seconda dei contesto specifico sociale, spaziale o temporale in cui si dispiega
l'agire sociale medesimo.
E qui torniamo a quanto abbiamo analizzato poco fa: si rileva la coesistenza
di diversi modelli di riferimento, senza che emerga un preciso ordinamento
gerarchico o unificante; non è possibile stabilire una scala gerarchica
di importanza e ciò porta conseguentemente al risultato di un panorama
normativo e valoriale estremamente incoerente. In sintesi, tutto questo determina
un'ambivalenza che aumenta il rischio di conflittualità: adesso mi
comporto così, faccio bene, in Liti altro frangente posso agire nello
stesso modo e quel mio stesso comportamento può essere biasimato.
Nella complessità sociale pare quindi assolutamente impossibile muoversi.
E tale complessità investe noi tutti e soprattutto la famiglia. Pertanto,
appare evidente come la paventata "crisi" della famiglia odierna
debba essere ricondotta all'interno di questo panorama, all'interno dei quale
trova la sua ragione.
Vediamo adesso come muta la famiglia all'interno della società complessa.
La famiglia odierna ha
subìto due ordini di cambiamenti: un cambiamento strutturale, vale
a dire nella composizione del nucleo familiare stesso rispetto a cinquanta/sessant'anni
fa, e dei cambiamenti di ruolo, ad esempio all'interno della coppia genitoriale,
in cui si sposta continuamente l'asse dei potere, come avremo modo di vedere
meglio in seguito.
La prima tendenza che gli studi recenti individuano nella famiglia odierna
è la cosiddetta privatizzazione, che significa ripiegamento, quasi
patologico, nella sfera del privato., Liti sentimentalismo e una predominanza
degli aspetti strettamente relazionali all'interno della famiglia. La famiglia
di oggi appare quasi come involuta, poco presente sull'esterno e scarsamente
coinvolta dall'esterno. I dati statistici emergenti dagli studi sulla famiglia
contemporanea attestano un'incidenza assai elevata di famiglie "privatizzate",
quasi come se fossero monadi isolate noti comunicanti tra loro.
Dal punto di vista strutturale, la prima tendenza macroscopicamente visibile
è un aumento vertiginoso dei nuclei monoparentali: si stanno moltiplicando
le famiglie composte da figli anche molto piccoli con un solo genitore. Generalmente
questo avviene quando la coppia genitoriale si divide, a seguito di separazione
e di divorzio, cui segue l'affidamento del minore ad uno dei genitori (più
spesso alla madre). Questo naturalmente crea dissintonie e cambiamenti nell'asse
dei potere e dei dialogo con i figli, sia tra il genitore affidatario ed i
figli, sia tra questi ultimi ed il genitore che vive all'esterno dei nucleo
familiare, sia tra gli ex coniugi.
Un altro aspetto rilevabile nella società contemporanea è un
aumento delle famiglie di fatto. Le famiglie di fatto sono quelle in cui noti
esiste Liti vincolo istituzionale, né di tipo civile né di tipo
religioso: stiamo parlando della cosiddetta convivenza more uxorio, una scelta
che sta prendendo sempre
maggior piede soprattutto tra i più giovani. In questa tipologia rientrano
anche le cosiddette famiglie ricostituite, a seguito appunto di separazioni
e di divorzi, con la presenza di un altro membro, generalmente di sesso maschile,
che si sostituisce alla figura paterna nella dinamica "immediata"
dei ruoli familiari, con i vissuti conflittuali che spesso ne derivano.
Nell'ambito della trattazione di questa sera, tralascerò volutamente
le famiglie unipersonali. perché poco pertinenti al nostro tema; anche
questa è comunque una struttura familiare in netto aumento nella società
contemporanea, per i cambiamenti di costume e l'allungamento della vita media:
si pensi ai single ed alle persone anziane rimaste vedove e con i figli adulti
facenti parti di nuclei familiari a sé.
Proseguendo, è noto come nella società contemporanea si assista
inoltre ad una netta diminuzione di nuclei familiari estesi o allargati. Sono
le vecchie famiglie patriarcali., nelle quali oltre al padre, alla madre ed
al figlio si aggregavano anche i nonni, gli zii, i cognati ecc. Anche questo
ha un immediato riflesso sui ruoli gestiti all'interno della famiglia, portando
in primo luogo ad una perdita di memoria storica nel dialogo intergenerazionale
tra le generazioni più vecchie e quelle più nuove.
Ne risulta quindi una famiglia ripiegata su se stessa, sul privato, con membri
che spesso si trovano nell'impossibilità di dialogare e che non riescono
a rapportarsi con altre figure parentali significative quali potevano essere
i nonni che sempre più spesso rimangono sullo sfondo.
Sinora abbiamo parlato
dei cambiamenti strutturali che hanno investito la famiglia contemporanea.
Ora spostiamo la nostra attenzione sui cambiamenti di ruolo, divenuti particolarmente
evidenti a seguito dell'evoluzione della donna nella società e della
sua presenza sempre più massiccia in ambito lavorativo extra domestico.
Considerato che al giorno d'oggi buona parte delle donne ha ormai un'occupazione
lavorativa fuori casa, si segnala l'aumento di quelle che sociologicamente
sono definite famiglie simmetriche, laddove per "simmetria" si intende
quella che investe i ruoli classicamente attribuiti al marito ed alla moglie.
Di fatto, la suddivisione operata dalla sociologia classica tra i ruoli sessuali
all'interno della coppia genitoriale attribuiva alla donna tutto ciò
che avesse attinenza con l'espressività, l'affetto e la cura dei figli;
di contro, tutto ciò che avesse un nesso di tipo strumentale, quindi
di cinghia di trasmissione tra la famiglia ed il mondo esterno, era attribuito
all'uomo. All'interno della famiglia, la donna/moglie/madre si occupava delle
faccende domestiche, della cura dei figli e dei sostegno affettivo della personalità
adulta. L'uomo/marito/padre, invece, provvedeva al sostentamento di tipo economico
e strumentale.
Al giorno d'oggi assistiamo necessariamente all'aumento delle famiglie simmetriche,
dove marito e moglie tendono ad interscambiarsi i ruoli all'interno dei nucleo
familiare. Dico "tendono" perché molte volte non è
così. Nonostante un indiscusso aumento rispetto al passato della partecipazione
maschile alla vita domestica, più spesso avviene un sovraccarico di
ruolo della donna ed uno smarrimento di ruolo da parte dell'uomo, in una situazione
globale che sembra lasciare parzialmente insoddisfatti entrambi. La donna
si sente sovraccaricata e l'uomo avverte di perdere in qualche modo l'esclusività
della funzione che gli era propria quella di tipo strumentale anche agli occhi
dei figli.
L'estremizzazione della famiglia simmetrica è la famiglia a doppia
carriera. Questa è una configurazione per ora non molto diffusa in
Italia, ma che tuttavia pare destinata ad aumentare. Si tratta di una famiglia
in cui entrambi i coniugi lavorano, ma non hanno una attività lavorativa
routinaria. Entrambi i coniugi sono letteralmente lanciati sul mondo dei lavoro,
risultandone totalmente assorbiti in termini di tempo e di energie, e quindi
con scarsa o nessuna disponibilità ad intessere relazioni all'interno
della famiglia, ivi compresa la spinta alla genitorialità. In queste
coppie troviamo appunto due persone che condividono poco all'interno della
propria famiglia perché ciascuno dei dite è interamente proiettato
sulla propria carriera lavorativa; il rischio di conflittualità in
queste coppie è ovviamente molto alto, e la tendenza a procrastinare,
a rimandare il momento di avere figli è una delle strategie più
comuni per l'abbassamento del livello di tensione reciproco. Quando poi la
decisione di procreare è stata presa, queste famiglie soffrono spesso
di una distanza generazionale tale da creare un'incomunicabilità ancora
maggiore tra genitori e figli. Questo
perché nel momento in cui la coppia decide di dare ampio spazio alla
propria carriera e poi a carriera raggiunta di mettere al mondo dei figli,
il contatto tra le generazioni avviene tardivamente: i genitori, spesso in
età più matura della norma e abituati a rapportarsi con adulti
entro schemi di vita difficilmente modificabili, si trovano ad agire con adolescenti
che parlano un'altra lingua rispetto alla propria, se si considera la velocità
vertiginosa con cui oggi le generazioni cambiano. La distanza generazionale
crea problemi prima di tutto a livello relazionale con i figli e in secondo
luogo tra i coniugi stessi, nel momento in cui sono chiamati ad accudire i
figli alternandosi necessariamente nei propri percorsi di carriera.
La famiglia odierna, insomma,
pare attestare una generalizzata incapacità di guardare al futuro,
determinata ed accresciuta dagli aspetti che abbiamo approfondito, quali la
crisi della memoria storica familiare, l'immersione nella cultura del presente,
dell'iper concreto, dei bisogni più immediati.
Questo andare di corsa senza poi sostanzialmente chiedersi "ma in che
direzione stiamo andando?", è comunque un nodo altamente problematico
per tutte le famiglie. Vorrei infatti precisare che la trattazione di questa
sera riguarda le famiglie "normali", non quelle multi problematiche,
che sono tutt'altra cosa e che meriterebbero una serata a sé stante.
La mancanza di memoria storica è dovuta essenzialmente alla diminuzione
dei nuclei familiari estesi. C'è poco tempo per pianificare il futuro,
perché si è impegnati sul fronte lavorativo; la pianificazione
dei futuro e la progettualità sono dunque ridotte nella soddisfazione
dei bisogni iperconcreti, percepiti come più immediati. Ci si ferma
poco a pensare su ciò che realmente conta., anche a livello relazionale,
all'interno della famiglia.
Un altro aspetto senz'altro
noto a molti è quello della cosiddetta famiglia lunga, in cui
generazioni di adulti con esperienze spesso antitetiche sono obbligate a confrontarsi
ed a rapportarsi. Al giorno d'oggi, per l'allungamento dell'iter scolastico
e per le crescenti difficoltà incontrate dai giovani nel trovare un
impiego, avviene questo: il giovane rimane in casa fino a trenta, trentacinque
anni di età, contribuendo alla formazione di "famiglioni "
lunghissimi in cui coesistono di fatto generazioni di adulti che faticano
a dialogare, rifacendosi ad esperienze ed a riferimenti valoriali spesso antitetici.
Il genitore vive un'ambivalenza di fronte al proprio figlio che, in quanto
tale, va sempre protetto ma che, al tempo stesso, viene vissuto come mi irresponsabile
che non vuole assumersi oneri gravosi. Il figlio, da parte sua, ripiega sulla
famiglia: si parla, in questo caso, di "familismo strategico" (espressione
triste ma comunque adottata spesso in campo psico sociale), facendo riferimento
alla scelta opportunistica compiuta dal giovane che, nutrendo timori nel rapportarsi
con l'esterno, non trova molte possibilità di auto realizzazione e
che quindi cerca di trovare il soddisfacimento dei propri bisogni all'interno
della famiglia, oltretutto senza proporre in linea di massima un grande rientro
a livello relazionale, creando per questo conflitti ed ambivalenze con i genitori.
Il nodo centrale è l'incomunicabilità, che viene denunciata
da più parti, tra genitori e figli.
Assistiamo alla compresenza di più aspetti problematici. Innanzitutto
il cosiddetto sovraccarico funzionale della donna/moglie/madre. Abbiamo visto
come la donna al giorno d'oggi si trovi a gestire contemporaneamente più
ruoli. Ipotizzando, potremmo dunque avere una famiglia composta da una moglie/madre
di età compresa tra i cinquanta ed i cinquantacinque anni, con il marito
pensionato, magari con un genitore anziano a carico rientrato nel nucleo familiare
a seguito di problemi di salute, con un figlio grosso modo trentenne che convive
ancora con la famiglia di origine perché non riesce a trovare una casa
adatta alle proprie possibilità. e che magari ha a sua volta una moglie,
una convivente che non riesce a trovare lavoro. Capiamo bene come la donna/moglie/madre
in una situazione dei genere che non è poi così improbabile
si trovi schiacciata, appiattita, vedendosi costretta a fungere da ponte tra
più generazioni., con possibili sindromi da burn out, che portano al
crollo, ad un senso di impotenza successivo all'originario delirio di onnipotenza,
di arrivare dappertutto.
Dal punto di vista dell'uomo/marito/padre riscontriamo invece una diffusa
sensazione di inadeguatezza. In questo momento ci troviamo in una condizione
particolare. Forse per la prima volta
l'uomo padre non è in grado di essere da esempio ai figli. Perché?
Il ruolo tradizionalmente, connesso al padre, abbiamo detto, è quello
strumentale, di cinghia di connessione con l'esterno, in anibito lavorativo.
Al giorno d'oggi, con i ritmi sempre mutevoli che caratterizzano la società
complessa, e che impongono la necessità di continui aggiornamenti professionali,
con le professioni che cambiano, il bisogno di inventarsi il lavoro ecc.,
il padre comincia a perdere questa connotazione che era precedentemente la
sua forza e noti costituisce più Il punto di riferimento ` l'esempio
per i figli; inoltre, alla perdita della propria connotazione strumentale
non fa da contrappeso un guadagno nella dimensione espressiva, che conserva
a tutt'oggi prevalentemente la tradizionale attribuzione materna. D'altro
canto, i bisogni dei figli adolescenti e giovani sono da questi percepiti
come insoddisfatti ed incompresi; la situazione di incomunicabilità
viene dunque avvertita in tutta la sua urgenza da ambo le parti.
Termina qui il primo "troncone tematico" di questa sera: definizione di complessità sociale; come la complessità sociale agisce sulla famiglia.
Adesso cerchiamo di prendere
in esame quello che è il punto di vista dei genitori. Come si pone
l'adulto di fronte alla complessità sociale? E come si sentono i giovani,
i figli?
Gli adulti sembrano non comprendere i bisogni e le motivazioni dell'insoddisfazione
giovanile. I giovani di oggi non sono contestatori, ma tranquilli, alcuni
sostengono quasi apatici. Eppure stanno male, e non si riesce a capirne sostanzialmente
il perché. I genitori per primi si pongono questo problema: Non riesco
a far fronte ai bisogni di mio figlio, non capisco essenzialmente che cosa
manchi. Ho dato a mio figlio più di quanto non abbia ricevuto io stesso,
sono più attento ai suoi bisogni materiali, reali. relazionali, cerco
di compensare le sue carenze nel modo migliore, eppure mio figlio non è
mai contento". E ancora, solo un decennio fa erano queste le espressioni
tipiche di buona parte dei genitori: "Ai miei tempi si faceva fatica
a mangiare, quelli sì che erano problemi... non i problemi di oggi,
legati alla firma sui jeans piuttosto che ad altre cose".
In questa sede, vale la pena di considerare insieme un aspetto importante
e spesso sottovalutato: questa incomprensione di fondo è il frutto
di un fraintendimento generazionale. Infatti l'ottica del genitore che dice
"Ai miei tempi si che c'erano i problemi seri, mentre quelli di oggi
non sono problemi" di fatto parte da un assunto errato. Il bisogno legato
alla fante, che probabilmente al giorno d'oggi non c'è quasi più
almeno nelle realtà a noi più vicine poteva comunque trovare
un soddisfacimento di tipo biologico; questo non è invece possibile
per i bisogni avvertiti dal giovani di oggi. t una sete illimitata .. la loro.
perché data da stimoli che non sono dì natura biologica. Questo
bombardamento di stimoli, soprattutto da parte dei mass media. crea una moltiplicazione
impazzita dei bisogni. E' noto come il giovane tenti di formare la propria
identità assimilandosi al gruppo. All'interno della crisi generale
avvertita dalla famiglia e dalla scuola., diventa particolarmente rilevante
la relazione con il gruppo dei pari. All'interno del gruppo dei pari è
molto frequente che l'adolescente faccia propria un'identità di gruppo
legata anche, perché no, al Jeans firmato. Quello che apparentemente
può sembrare qualcosa di banale, per un giovane.. per un adolescente
in particolare, costituisce elemento ponte per la formazione della propria
identità. E questo è un aspetto rilevante che probabilmente
è sovente sottovalutato dai genitori.
D'altro canto, accade spesso che i genitori tendano a compensare materialmente
la minore disponibilità anche in termini di tempo a disposizione al
dialogo ed al confronto con i figli. dovuta al ritmi frenetici imposti dalla
quotidianità, dando massima soddisfazione alle richieste dei figli
che pure appaiono di natura essenzialmente consumistica.
Esemplificando: il genitore ha poco tempo e si sforza di dare comunque il
massimo al proprio figlio, anche in termini relazionali; il figlio dice: "Voglio
il motorino. voglio la macchina. voglio questo, voglio quest'altro".
Tali richieste vanno a sedimentarsi nel vissuto di colpevolizzazione avvertito
dal genitore, con il risultato elle quest'ultimo tenda a riequilibrare il
proprio latente vissuto di colpevolezza con l'assenso ad acquistare la maggior
parte delle cose elle gli vengono richieste. E' altresì frequente sentire
dal genitore: "Mio figlio mi cerca solo quando ha bisogno, mio figlio
vuole solo soldi, mio figlio non mi chiede mai di abbracciarlo"; in realtà
manca qualcosa di più profondo spesso si tratta di una nascosta denuncia
di una frattura nel dialogo e la soddisfazione di bisogni avvertiti come consumistici
è comunque raramente di natura essenzialmente materiale.
Il genitore al giorno d'oggi ha un'ansia relativa al doversi rimettere quotidianamente
in discussione, sia come genitore elle come adulto, all'interno di un panorama
valoriale estremamente incerto e rapidamente mutevole, che come abbiamo visto
caratterizza la società complessa. Oggi sovente accade elle il genitore
tenda, per compensazione, a dare ai propri figli opportunità di istruzione
maggiori rispetto a quelle ricevute, e questo lo porta sempre più spesso
a rapportarsi ad essi in una condizione di "deficit cognitivo",
in una situazione di "ribaltamento di ruoli" che lo inibisce in
un dialogo paritario con i figli elle sente più competenti di lui.
In sintesi si avverte una notevole difficoltà nel gestire la complessità
dei ruoli: da una parte, il figlio viene avvertito come più competente
e quindi se ne è orgogliosi; ma dall'altra come un individuo che, forte
della sua preparazione, minaccia il proprio ruolo di potere.
I sentimenti nel confronti dei figli sono avvertiti come ambivalenti, perché
nel contempo essi sono visti come bisognosi di protezione e di guida e come
eccessivamente deresponsabilizzati, che si rifiutano di crescere: tu sai solo
pretendere il motorino, tu sai chiederci solo la macchina, ma per le responsabilità
ci devono sempre essere mamma o papà".
Un altro elemento problematico è questo: la tendenza a proiettare sui
figli, anche inconsapevolmente, l'immagine ideale elle i genitori hanno di
se stessi influenzando scelte esistenziali ed aspettative di istruzione e
di lavoro. Da questo punto di vista, è riscontrabile un netto sbilanciamento
relazionale a favore della madre. nella trasmissione di norme, valori e modelli
afferenti alla funzione sociale tradizionalmente considerata patema. Le ultime
ricerche psicologiche e sociali confermano questo aspetto: la madre ha un
ascendente notevole nelle aspettative di riuscita in campo scolastico e professionale
dei figli. Questo, se da una parte pone una sfida, perché il figlio
può avvertire come opprimente il ruolo materno e come marginale la
figura patema nella relazione familiare, dall'altra parte può essere
considerato come risorsa. specialmente in un campo dove la società
offre ben poche possibilità di riuscita nel senso di sicurezza percentuale
di farcela.
Nella società odierna
assistiamo volgendo lo sguardo al mondo giovanile ad una mancanza di identità
generazionale spiccata o consapevole. Mentre nel 468 la contestazione studentesca
poneva i giovani in netta contrapposizione agli adulti., al giorno d'oggi
i giovani noti si sentono generazione.
Questo perché all'interno della società complessa è estremamente
arduo. per chi ha un'identità in fieri, formarsi un'identità
stabile. avendo diversi modelli. norme e valori di riferimento che noti facilitano
questo percorso. L'orizzonte valoriale viene percepito, non a torto, come
confuso e contraddittorio. Nella formazione della propria identità
il giovane non sa sempre che cosa è giusto e elle cosa noti lo è,
e non trova queste risposte nemmeno nei genitori. L'Istituto IARD ha recentemente
messo in luce gli orientamenti valoriali delle generazioni giovanili. Il primo
tratto emergente, piuttosto preoccupante, è un generale senso di sfiducia
verso gli altri.
I giovani di oggi non sono particolarmente interessati al panorama politico.
Ciò che viene percepito, da un punto di vista sentimentalistico, è
l'imbroglio.
Questo atteggiamento Il spinge a noti aver fiducia in nessuno. Vedono il nucleo
familiare come nido, come nicchia protettiva in un mondo sostanzialmente ostile,
di cui noti ci si può fidare.
Mentre è ancora riscontrabile un barlume di ottimismo nelle fasce di
età compresa tra i quattordici ed i sedici anni, per i giovani di diciotto
vent'anni viviamo in un mondo dove tutto è un imbroglio.
In altre parole, il disincanto aumenta a mano a mano che ci si avvicina all'età
adulta.
E' riscontrabile la propensione per il rischio, ritenuto un valore positivo
e quale condizione essenziale per il successo in una società sempre
più competitiva e sempre meno garantita. t noto come il giovane sia
sempre più propenso al rischio rispetto ad un adulto, però attualmente
questo fenomeno tende ad assumere proporzioni preoccupanti, e può essere
fuorviante in un percorso educativo. In linea di massima, il rischio e l'osare
vengono visti come uniche strade per riuscire in una società che impone
la meta del successo. Essere belli, ricchi ed affermati, a qualsiasi prezzo:
sono questi i valori da cui vengono continuamente bombardati i giovani, per
cui questo rischio viene visto come unica strada possibile. Evidentemente,
un'estremizzazione della concezione dei rischio può portare ad imboccare
strade pericolose.
Visto che il panorama valoriale è percepito come contraddittorio, c'è
lo stimolo alla trasgressione nei confronti delle regole che vengono percepite
come non vere, come ingabbiatiti ed inibenti la possibilità di avere
successo. La trasgressione si esplica in più ambiti, da quello strettamente
civile salire sull'autobus senza pagare il biglietto fino alle trasgressioni
più pericolose come l'utilizzo di sostanze psicotrope. Per quanto riguarda
l'utilizzo delle droghe, le ultima indagini confermano che la possibilità
di entrare in contatto con persone devianti che ne fanno uso aumenta la curiosità
nel giovane. E' stata rilevata da parte dei giovani intervistati una diffusa
tolleranza nei confronti di chi fa uso di sostanze psicotrope e la tendenza
non escludere dei tutto di poterne fare personalmente uso in futuro.
Altri aspetti che caratterizzano i giovani di oggi sono il disincanto ed il
relativismo etico, cioè la tendenza a fare scelte reversibili ed a
investire sul quotidiano qui ed ora piuttosto elle sul lungo termine. Tutte
le scelte che comportano un impegno definitivo non sono prese in considerazione.
Nonostante ciò, nell'orizzonte valoriale dei giovani grande parte ha
la dimensione valoriale entro il nucleo familiare, per cui anche se si avverte
questo scollamento nella comunicazione tra genitori e figli, di fatto i giovani
tendono a riproporre modelli presenti all'interno della famiglia Il matrimonio
è visto come "una cosa seria" e molti adolescenti ci credono,
anche la spinta alla genitorialità, che sembra in, qualche modo assopita,
in realtà è un valore che resiste.
L'unica cosa è elle queste scelte vengono rimandate continuamente,
perché c'è l'impossibilità di poter gestire certezze,
soprattutto sul versante lavorativo. Il giovane non crede più al miraggio
del "posto fisso" sostanzialmente non ne pare molto interessato.
Il lavorare è visto come una possibilità.
Il disagio ed il malessere psicologico e sociale inducono a non crescere ed
a rimandare le proprie responsabilità; si ha così la preferenza
a "ripiegare" sulla sfera più privata dell'individuo ` che
cerca soddisfazioni soprattutto a livello affettivo, nella famiglia. C'è
uno scarso investimento sull'esterno.. si pone al primo posto il proprio benessere,
si è sempre pronti a ricevere, meno a dare: questo è ciò
che viene definito l'egocentrismo giovanile.
Le categorie sociologiche
suddividono la trattazione dell'adolescenza in alcuni periodi.
Negli anni 50/60, avevamo la fase dell'integrazione sociale, quindi la trasmissione
dei valori avveniva all'interno della famiglia, entro un panorama valoriale
abbastanza stabile.
Con il '68, gli anni '70, assistiamo al periodo della contestazione giovanile,
che porta prima ad un allentamento dei legami con gli adulti, e successivamente
ad una vera e propria frattura rispetto ai valori consolidati. Nel conflitto
intergenerazionale i giovani si opponevano agli adulti tentando di far affermare
un nuovo assetto sociale, in sostituzione di quello esistente.
Dagli anni '70 in poi i giovani sono entrati nella cosiddetta fase dei "riflusso",
cessando di essere davvero ribelli e propositivi.
Con gli anni SO., ed ancor più con gli anni '90, sono andate via via
più accentuandosi le caratteristiche dei disincanto, della reversibilità
delle scelte, del "ripiegamento" in famiglia e della permanenza
lunga all'interno del nucleo familiare d'origine.
Con gli anni '90 si pone l'urgenza di raccogliere la sfida posta dalla società
complessa: un'impresa congiunta di genitori e figli per il passaggio all'età
adulta.
Abbiamo visto come la complessità sociale che coniunque esiste, è
ineliminabile e probabilmente destinata ad aumentare ponga numerose sfide.
Al genitore pone la sfida della perdita di gran parte dei proprio potere normativo;
sostanzialmente il genitore sente di non avere più presa né
nell'ambito strettamente disciplinare, né nell'orientarnento delle
scelte dei figli, e neanche come garante di un panorama valoriale coerente
a cui rapportarsi; egli ha dunque l'impressione di perdere la propria connotazione
di punto di riferimento per i figli, anche coercitivo. Il genitore si trova
a non essere più una figura di riferimento e deve rimettersi in discussione.
Al giorno d'oggi è facile trovare un ribaltamento dei ruoli. Il genitore
deve comunque riconoscere al propri figli competenze, soprattutto in ambito
cognitivo, superiori alle proprie, e per far questo sono indispensabili una
notevole maturità e una buona dose di umiltà.
I giovani, dal canto loro, si trovano a dover fronteggiare la perdita, la
destrutturazione dei modelli di riferimento e dei processi di socializzazione
rispetto alle generazioni precedenti. Devono crearsi un'identità stabile
all'interno di un panorama valoriale estremamente confuso.
Naturalmente ogni sfida offre una risorsa. La complessità sociale pone
è vero molte sfide, ma queste sfide possono essere ribaltate in positivo.
La famiglia dovrebbe sforzarsi di ridefinire e di rinegoziare i ruoli al proprio
interno, affinché i genitori riescano a riconoscere ai propri figli
questo cambiamento. Ad onor del vero, molte volte il tentativo c'è,
pur se a volte con connotazioni quasi paradossali, come nel caso del genitore
che si professa amico dei propri figli. Va da sé che questa non è
una prospettiva educativa valida; tuttavia bisogna riconoscere che questo
tentativo a volte maldestro messo in atto soprattutto dai padri è comunque
il sintomo di qualcosa che sta cambiando.
Un'altra risorsa della famiglia è l'apertura sul territorio. E' ormai
dimostrata la tendenza alla nuclearizzazione della famiglia contemporanea;
sono molte le famiglie isolate che ripiegano a livello relazionale al proprio
interno, e che sono scarsamente aperte sui territorio. La società complessa
tende a gestire una pluralità di agenzie di socializzazione, tantissime,
che però sembrano variabili impazzite, che procedono in modo indipendente.
Se la famiglia, che è il punto nodale anche dal punto di vista educativo,
riuscisse a rapportarsi alle altre agenzie presenti sul territorio, avrebbe
la possibilità di sfruttare ciò che è la ricchezza della
complessità sociale, e mettere in pratica un percorso comune con le
altre agenzie. Per i giovani questi modelli di riferimento, che sono molteplici,
possono costituire anche un arricchimento, sia a livello di opportunità
disponibili, sia nei diversi percorsi delle possibilità di scelta,
che si ritrovano a dover compiere. Questi percorsi sono comunque intrecciati.
E' vero che l'incomunicabilità è avvertita spesso sia dal genitori
che dai giovani. Di fatto, entrambi però credono nella famiglia come
valore importante. Non è vero che con i giovani non si può parlare:
si tratta solo di "sintonizzarsi" sul loro medesimo canale. Chi
si trova ad operare all'interno di centri giovani, enti locali o chi presta
servizio come insegnante, può confermare come i giovani abbiano per
lo più un profondo desiderio di rapportarsi con gli adulti. E' auspicabile
anche un confronto tra le due maggiori agenzie di socializzazione, la famiglia
e la scuola. Molte volte i genitori pensano di conoscere il proprio figlio
al punto di prevederne ogni reazione, per poi realizzare con sorpresa nei
rari colloqui con gli insegnanti che c'è chi lo conosce sotto tutt'altro
aspetto. E' fondamentale dialogare di più.
MARIA TERESA ZATTONI e GILBERTO GILLINI, Erba, 30 Ottobre 1998
Vorrei riflettere un momento su questo titolo: "Relazioni educative soddisfacenti". Iniziando a pensare a questo titolo, mi è venuto in mente che a volte le relazioni educative che noi tutti viviamo non sono soddisfacenti, perché andiamo alla ricerca dì soluzioni che complicano il problema.
Per esempio, il genitore che vuole essere ad ogni costo bravo, controlla il figlio da vicino, lo segue tantissimo, potrebbe alla lunga finire con il produrre il problema che vorrebbe evitare. Lui dice: "Se io gli sto vicino, lo seguo passo a passo, se gli evito tutti i disagi.., penso che il nostro rapporto educativo dia dei risultati". A volte però questo tipo di soluzione produce proprio il problema, perché questo pressing del genitore, questo continuo controllo, può mandare dei messaggi che suonano dequalificanti. Il bambino che viene accompagnato a scuola a manina perché non si faccia male... quando tutti i suoi compagni ci vanno da soli, certo, potrà verosimilmente pensare che i genitori lo seguano molto, però non può non ricevere dal comportamento dei genitori il messaggio: "Tu sei il più scemo di tutta Erba .... perché tutti gli altri vanno a scuola da soli; tu, se non avessi i genitori andresti sicuramente sotto la macchina, ti cacceresti in un mare di guai ... !" E' chiaro che una reazione di questo genere, una volta che va in circolo, provoca problemi e i genitori che hanno infilato questa strada, concluderanno: 'Non gli siamo stati vicino, ... il papà è sempre occupato fuori, non parla con questo bambino, abbiamo sbagliato qualche cosa, abbiamo certamente trascurato qualche cosa"... e, probabilmente aumenteranno questo controllo ansioso, questa loro presenza sostitutiva.
E' solo un esempio, forse un po' troppo abbozzato, di come una soluzione che vuole evitare il problema, finisce poi per crearlo. Io vorrei sottolineare tre grosse dimenticanze, che creano il problema.
Una prima dimenticanza
potrebbe essere questa: dimenticare che le scienze umane non forniscono
in generale dei meccanismi lineari di causa effetto che possono essere usati
con la semplicità con cui vengono usati nelle scienze fisico tecniche,
non forniscono cioè dei meccanismi, anche se la psicologia del senso
comune fa ritenere che la figura dello psicologo, o l'aiuto che un esperto
potrebbe dare, rimandi a delle regole, a delle procedure.
Le nostre aspettative
sono sempre di tipo semplicistico. "Ah se avessi studiato psicologia,
allora sì che saprei, allora sì che potrei".. con questa
contingenza tra sapere e potere che non lascia niente a quella precarietà
che invece costituisce pur sempre una grossa parte della nostra vita. Quindi,
il primo modo per fabbricarsi i problemi è l'attesa che ci siano queste
ricette magiche e soprattutto usare alcune conoscenze, che pure hanno una
dignità scientifica, come se fossero una ricetta.
Vorrei farvi un
esempio personale: a uno dei nostri figli, (quando erano piccolini e andavano
alle scuole elementari), in prossimità del compleanno mia moglie dice:
"Sai, giovedì è il tuo compleanno,
allora ti preparo una torta e la porti a scuola!" Questo bambino si incupisce
e comincia a dire.., "no, la torta no, io non la porto a scuola".
Strano.. allora cerchiamo di lasciare sbollire la cosa..., gli chiediamo come
mai, e ci dice: "Se porto la torta, poi dobbiamo dividerla, poi si fanno
le frazioni, le frazioni si devono sommare, poi se non vengono bene la maestra
urla, poi dopo questa torta resta lì tutto il giorno e non si mangia
... !" Cos'era successo? Che la maestra aveva usato una concezione corretta,
ma poi l'aveva stravolta, facendola diventare una gabbia.
La seconda dimenticanza
che produce questo tipo di problema è dovuta al fatto di dimenticare
che un individuo fa parte di un sistema: poiché stiamo parlando di
relazioni educative, normalmente le prime relazioni educative sono quelle
del sistema famiglia.
Noi pensiamo che ci sia un sapere che si adatti immediatamente a quel figlio,
a quello scolaro, a quel bambino che abbiamo davanti.
Oggi le scienze umane parlano più volentieri di tempi della famiglia,
piuttosto che isolare la variabile individuo. Quando ci troviamo di fronte
a una coppia di giovani sposi, invece che partire da "lui ha questo carattere,
lei ha questo carattere.. quindi...", dobbiamo vedere il tipo di relazione
che si sviluppa tra queste due persone. Questo qualifica molto di più
il disagio e ci aiuta a risolverlo.
Per esempio, pensiamo alle dinamiche della famiglia con figli piccoli. E'
un tempo della famiglia che ha delle sue regole, delle sue strutture ... o
alle dinamiche della famiglia con adolescenti ... come i problemi sessuali,
affettivi dell'adolescente interagiscono con gli adolescenti adulti che sono
i genitori? Perché ciascuno di noi ha dei nodi adolescenziali e se
li porta dietro...
Se non si entra in questa prospettiva, sì finisce con l'entrare nella
prospettiva del dover essere ... si deve.. si deve, e qualunque sia il ragionamento
che sostiene questo "si deve" finisce per sostenere una certa prassi,
certe indicazioni che tutti in qualche modo respiriamo.
Mi viene in mente un papà e una mamma, preoccupati: "Abbiamo un
bambino che non socializza".. Proviamo a farci raccontare dei dati concreti,
delle cose che ci permettono di inquadrare la sintesi di questo bambino..Alla
fine risultò che questo bambino era portato per due pomeriggi a scuola,
un pomeriggio a musica con la banda, un pomeriggio al corso di karatè,
un pomeriggio a fare i compiti con un compagno scelto dalla maestra, e il
martedì, questo "asociale", (!) voleva stare a casa! Chiaramente
qui non c'è un bambino che non socializza, ma ci sono delle attese
della famiglia che producono tutta una serie dì comportamenti, e producono
delle reazioni a questo comportamento, cioè c'è un "quadro"
che bisogna mettere a fuoco.
Arrivano due genitori disperati perché un loro figlio, a 17 anni, non
voleva andare in discoteca. E proviamo a capire, e dopo un po', emerge che
questo era un seminarista... ma se qualcuno fa delle scelte diverse dagli
altri, immediatamente questo deve avere qualche cosa che non funziona? Anche
in questo caso c'è una attesa della famiglia, un china familiare che
ci dice molto di più della singola persona.
La terza dimenticanza
la direi così: a volte si dimentica che oggi ragazzo è persona,
e questo significa un mistero. Persona non vuol dire altro che qualche cosa
di fronte alla quale ci dobbiamo fermare e andare piano prima di dedurre regole
e codificarle secondo i criteri della psicologia o delle nostre attese.
Quando noi pensiamo che dire "Carlo ha gli occhi azzurri" e "Carlo
è timido" siano equivalenti, ci sbagliamo, perché dire
"Carlo ha gli occhi azzurri" è un dato fisiologico, mentre
quando dico "Carlo è timido" dico una cosa differente, dico
che ho visto un determinato numero di comportamenti; una cosa non so per certo:
che cosa farà domani! Quindi, se esprimo un giudizio universale, affermando
'W così", giudizio che non lascia più spazio alla vita,
io ingabbio la realtà di questa persona.
Ricordo, quando siamo venuti ad abitare in Brianza, abbiamo fatto un gruppo
di ragazzi, era un gruppo che ci preoccupava moltissimo, soprattutto per un
ragazzo che ci faceva disperare tantissimo, tanto che quando c'era lui non
si riusciva a fare proprio niente, perché faceva caos, andava
a stuzzicare le ragazzine, poi faceva.. insomma.. noi ci siamo trovati una
sera che salivamo verso la Parrocchia e facevamo questa preghiera: Signore,
ti preghiamo che questa sera non ci sia Pasquale se no guai.." Ecco,
questo ora è un ottimo frate. Non l'avrei detto certamente ma perché?
Perché la vita è più ampia dei nostri ingabbiamenti e
delle nostre attese.
Vorrei forse riassumere questo cambiamento di mentalità che vi sto
proponendo, raccontandovi un esperimento che mi ha sempre fatto pensare...
Supponiamo che qui davanti ci sia del cibo e che attorno poi, a semicerchio,
ci sia una rete aperta ai due lati. Prendiamo un cane e una gallina. La gallina
affamata, messa davanti in questo recinto aperto solo sui lati si dirige immediatamente
verso il cibo, e correttamente, stando alle sue indicazioni intelligenti,
trova il punto della massima vicinanza al cibo che la rete le permette, e
cerca di trovare un varco che non c'è. Non trovandolo, comincia a spostarsi,
e dopo aver fatto qualche passo verso i lati, pensa "così mi allontano.."
e allora torna indietro, e così facendo la gallina comincia questa
oscillazione senza trovare una via dì uscita. Se mettiamo il cane,
anche il cane si dirige verso il punto in cui la distanza è minima,
ma diversamente dalla gallina la sua intelligenza gli fa capire che allontanandosi
dal cibo si può avvicinare, là dove la rete è aperta.
Supponiamo che possano dialogare. La gallina gli direbbe: "ma cosa stai
facendo, ti stai allontanando".
In fondo, il messaggio è questo: pensando a un ragazzo, potremmo dire
che ragionerebbe "da gallina" se dicesse che gli adulti sono diversi
da lui e perciò non lo capiscono, oppure "da cane" allorché
riconoscesse che sì sono diversi e che senz'altro ci saranno delle
difficoltà, ma che questo è il bello del dialogo, che parte
e tiene conto di posizioni differenti.
Sulla base delle premesse
e delle direzioni di marcia che ci ha dato Gilberto, cercando di non imbarcarci
nelle soluzioni che creano, appunto il problema, adesso vediamo un po' più
da vicino che cos'è questa relazione educativa soddisfacente.
E' ovvio che per "soddisfacente non si intende perfetta, efficiente,
produttiva, nel senso che raggiunge i risultati che qualcuno nella relazione
si prefigge, e questo qualcuno può essere il genitore o l'educatore
che vuol portare il ragazzo verso una certa direzione, o viceversa, cosa che
è un po' più dì moda, il ragazzo che vuole portare il
genitore, l'educatore, gli adulti dove ritiene sia la logica del suo diritto.
Dunque "relazione educativa soddisfacente" vuol dire che è
in "itinere", cioè mentre cammina nella storia può
avere i suoi fallimenti, i suoi incidenti di percorso, i suoi zig zag, ma
che poi alla lunga dei tempi della vita porta a delle mete in cui le persone
che sono dentro la relazione si riconoscono appunto come persone, persone
che si guardano con rispetto, oltre che con amore. E questo di nuovo è
sempre reciproco.
La relazione soddisfacente sui tempi lunghi e nella pazienza della vita è
un'opera d'arte e come ben sappiamo, non ci sono regole per le opere d'arte.
L'opera d'arte, la relazione, è sempre un unicum, e come tale ogni
volta è da scoprire da capo, ogni volta è nuova.
La relazione, anche se uno avesse due gemelli, con ciascuno di essi è
ben diversa, e viceversa da parte dei gemelli verso i genitori. Dunque la
relazione educativa soddisfacente sui tempi lunghi è un unicum, qualche
cosa che si dà nella storia con un movimento irripetibile, che non
si può tranquillamente trasferire da una posizione all'altra, perché
è l'insieme delle relazioni, delle scelte, delle avventure, dei sì
e dei no di cui è fatta la vita.
Se la relazione soddisfacente, se l'opera d'arte è così unica,
che non si può ripetere, sostiamo a guardare come possono essere i
colori, le tele, gli strumenti che non producono ipso facto l'opera d'arte,
ma la rendono possibile.
Allora io vorrei incamminarmi
su due grandi archi: il primo è ritrovare il senso di una relazione
educativa in cui non si abbattano le differenze, e il secondo è
trovare gli stalli e le incapacità di dialogo nella reificazione
della relazione.
Per ambedue queste parti del nostro lavoro abbiamo bisogno di un concetto
tecnico molto semplice, il concetto di regolazione delle distanze. Sappiamo
tutti che la famiglia non è un gruppo di pari; nella famiglia c'è
chi viene prima e c'è chi viene dopo. Nella famiglia. la successione
temporale, l'essere nati prima, parlo in particolare dei genitori, costituisce
una gerarchia. Siamo invece in una cultura in cui, con quintali di buona fede
ma con distorsioni educative terribili, si tende a concepire l'uguaglianza
come abbattimento delle differenze. Le differenze in quel luogo gerarchico
per eccellenza che è la famiglia, pare non debbano più esserci.
Le differenze diventano sinonimo di sopraffazione e sottomissione da parte
di chi le riceve. Vediamo invece dei risultati straordinariamente espliciti,
quando l'abbattimento delle differenze diventa incapacità di regolare
le distanze.
Il ciclo di vita della famiglia di cui si parlava prima comporta nelle relazioni
che si stabiliscono un asse verticale e un asse orizzontale: anche secondo
gli studi recenti, per esempio nella scuola di Palo Alto, situiamo nell'asse
orizzontale gli eventi critici e nell'asse verticale la chiave interpretativa
di questi eventi. Per evento critico si intende quel fatto, quell'accadimento,
quella data, quella storia, quell'episodio che succede in famiglia, che provoca
una messa in crisi delle distanze. Ad esempio, a una coppia di giovani coniugi
nasce un bimbo: questo è un evento critico prevedibile. Gli eventi
critici possono essere sia prevedibili, nel senso che si possono prevedere,
sia imprevedibili, che molto spesso sono anche indesiderati. Questi eventi
critici mettono in crisi la regolazione delle distanze.
Purtroppo oggi siamo in una situazione in cui la regolazione delle distanze
non viene sufficientemente curata attraverso il dialogo, cioè attraverso
la cura e il rispetto per la posizione reciproca. Siccome in questi tempi
noi esercitiamo da nonni, ci capita di andare ai giardinetti con gli altri
nonni, e così si parla con gli altri nonni... giusto stamattina un
nonno esasperato diceva: "ho un nipotino di poco più di tre anni
che detta legge su che cosa si deve vedere in televisione ... possibile che
ogni cosa che scelgo io non va bene, dice che schifo e qualche altra espressione
molto più colorita, e io non posso vedere alla tivù quello che
dico io?" E poi nel contesto viene fuori che ci sono due tivù
in quella famiglia, ma il nonno, che tiene il bambino ed è in casa
sua, non può disporne perché nemmeno lui può vedere sull'altra
tivù il programma che lui ricerca. E' il bimbo che decide..."E
allora non si può più fare niente con questo bambino, perché
altrimenti urla, ti inveisce, ti dice parolacce e dopo..." Ecco, l'abbattimento
delle differenze. Qui nemmeno la differenza di peso vale di più! Il
nonno potrebbe dire, come minimo:"Non so... questa tivù me la
sono guadagnata con una vita di lavoro, e tu invece hai appena cominciato
a vivere..stai al tuo posto..." Oggi questa è un'idea difficilmente
accessibile, nella cultura del disarmo totale nella relazione educativa, per
cui crediamo che porre delle differenze, porre dei limiti sia una sorta di
sopraffazione, qualche cosa che non si ha da fare. E' uscito recentemente
un gustosissimo testo, di una neuripsichiatra, Ukmar, il cui titolo già
parla da solo: "Se mi vuoi bene dimmi di no". La regolazione delle
distanze viene fatta implicitamente sull'immediato bisogno di chi grida di
più, probabilmente del più piccolo, credendo di favorirlo. E'
probabile che modifichiamo di più il comportamento nella relazione
educativa se riprendiamo, noi generazione adulta, il posto che ci compete
come generazione adulta, questo per rispetto alle giovani generazioni.
Là dove non c'è una sana regolazione delle distanze, perché
si abdica dei proprio posto e si ha paura delle differenze, ci sono dei disagi
profondi.
Se passiamo dal nonno che si lamenta di non essere padrone della tivù
ad un altro fatto assai più tragico, capiamo meglio come questo abbattimento
delle differenze che si confonde con un atteggiamento pseudo democratico non
è socialmente integrante, né in grado di custodire le nuove
generazioni.
Stiamo lavorando in questi
giorni sulla situazione di una ragazzina, chiamiamola Carla, che a quindici
anni ha accoltellato sua madre: sono riusciti a salvare la madre. E' successo
tempo fa, tre mesi fa, la madre non ha sporto denuncia quindi la giustizia
è bloccata; il maresciallo ha fatto la sua predica alla ragazzina,
la ragazzina è stata portata all'ospedale a trovare la mamma e le ha
detto due frasi. La prima: 'Io sapevo che tanto non morivi"; la seconda:
"te tanto non sei quella a cui nessuno vuole bene"? detto anche
in un cattivo italiano. Che cosa succede intorno a questa ragazza che attenta
alla vita della madre? Il motivo del gesto è scatenato dal fatto che
la madre è andata un giorno a prendere la figlia al treno, perché
sa che c'è in giro un ragazzino che lei non vuole che lei veda erano
già successi dei grossi pasticci la madre dunque la va a prendere al
treno, e lei dice: "no, torno a casa da sola"; la madre torna, si
trincera in cucina e la figlia dice: "tanto non mangio, perché
esco un'altra volta". E la madre le grida: "non uscire! ".
Ma la ragazza scende in cantina, prende un coltello a serramanico, comincia
a pugnalare la madre.
Oggi, sono passati tre mesi, l'unico che rimane con il cuore inquieto di fronte
a questa vicenda, e che non si rassegna, e che dice: "ma bisognerà
fare qualcosa", è il prete di religione che, avendola avuta per
tre anni alla scuola media, dice, "non si è visto niente ".
Ovviamente l'ospedale ha fornito un colloquio con la psicologa alla madre
e alla figlia, il maresciallo le ha fatto una bella predica, la mamma dice
di averla perdonata. Non più di una settimana fa, la figlia decide
di comprare un paio di scarpe, appare truccatissima e piena di bisogni immediati
, vuole un tipo di scarpe con i tacchi alti e dice alla mamma: "devi
venire a prendere le scarpe", e la madre dice "non posso uscire,
perché mi fa male la ferita ". Risposta della figlia "Ancora!
oh ma che piaga che sei"... Chi sì è preso carico delle
differenze con questa ragazza? Chi a questaragazza parla di riparazione? In
questo caso, non parla l'assistenza pubblica, non parla la forza pubblica,
non parla la famiglia. Se entriamo un momento nella famiglia, la ragazza è
figlia unica, il padre ha una piccola impresa edile con i fratelli, ma ogni
tanto beve e viene disistimato, la madre è totalmente in casa. Si è
messa completamente al servizio della figlia. La figlia decretava che cosa
mangiare a mezzogiorno, magari decretando che appena aveva deciso di volere
il risotto, dopo le andava solo l'insalata, e viceversa..In questa famiglia
nessuno si è preso carico della regolazione delle distanze. La figlia
non sono passati ancora tre mesi da questo fatto dice: 'Voglio un paio di
scarpe, e me le compri subito, nel giorno e nell'ora che voglio io ",
e la mamma, come unica capacità di distanza, dice: "mi fa male
la ferita". E' una situazione che tutti noi sentiamo di grave disagio,
perché il buonismo che attornia la vita di questa ragazza non le parla
la lingua della vita. Quando finalmente ci troviamo tutti nel nostro studio,
la ragazza si siede tranquillissima e dice: "ma che cosa volete ancora?"
Tre colloqui con la psicologa, uno con il maresciallo, e un po' di prediche
fatte dal parentado a lei sembravano un costo sufficiente. Era a pari. Mentre
camminiamo con questa ragazza, finalmente le diciamo: "bisognerà
costruire insieme un programma di riparazione ". "Riparare che cosa?
Le ferite sono quasi guarite, la mamma mi ha perdonato, che cosa c'è?"
C'è una possibilità
di regolare la distanza, e la distanza vuol dire rispetto, assunzione di responsabilità,
custodia. Quando questa ragazza è stata posta di fronte alla possibilità
che ci sia una parte di lei che la sta superando, cioè una parte dì
Carla che agisce al posto di Carla, (vogliamo restituire questa parte a Carla
perché diventi la padrona di se stessa?), solo davanti a un programma
di questo tipo, la ragazza può affacciarsi a quello che è il
vero errore, quello che ha fatto, perché è abituata solo alla
misura esterna dei suoi prodotti: "La mamma non è morta, dunque
dove è il problema? Sì, un po' di giorni in ospedale, qualche
intervento, ma dove è il problema? "
Apparentemente uno direbbe: "ma che ragazzina bacata, che ragazzina terribile
", e di nuovo commettiamo sempre la più grossa delle ingiustizie,
perché non ci prendiamo carico della regolazione delle distanze. La
mamma ha assimilato a sé la figlia, in questa monotonia della sua vita
da casalinga, in questa assenza di interessi e di prospettive, si è
messa a servizio della figlia.
La figlia ha dominato
sempre di più, il papà è stato sempre più assente,
fino all'estrema punta che è quella dell'arco. In questo sistema non
c'è una regolazione delle distanze. Finalmente la ragazza accetta che
ci sia un adulto che si prenda la responsabilità di dirle verso dove
si deve muovere e quali costi deve pagare. Le dico: "ci vorrà
desiderio e coraggio, coraggio perché non è facile scoprire
quella parte di te che agisce nonostante te. Ci saranno dei momenti di sofferenza
e di terrore... ma scenderò con te nella tua caverna, e lì sarò
con te".
La distanza è
anche il massimo della vicinanza. La distanza è "tu hai bisogno
di crescere e io sono la tua guida ". E non ci confondiamo le parti.
"Io ho il coraggio di chiederti una riparazione e che sarà grossissima,
perché quello che hai fatto va preso molto sul serio ". Agli adulti
dico: "bisognava proprio tirare fuori il coltello perché ci prendessimo
la responsabilità di questa ragazza, perché questa ragazza fosse
guidata verso mete concrete e precise? " E quando finalmente accetta
un programma, un percorso, con i relativi costi, io le dico: "però
all'esterno tu continua a fare come prima ". "Come prima come? "
"Con la mamma, una ragazzina insipiente, bamba, che cerca di dimenticare
e che crede che tutto sia a posto e facile; mentre noi facciamo il viaggio
nel profondo del tuo cuore, tu all'esterno continua pure come prima, non modificare
il tuo comportamento esterno" "Questa ragazzina, che è molto
intelligente reagisce: "ma perché? Sembravo così? Come
osi tu definirmi bamba, insipiente, superficiale, capace solo di dimenticare
e di tenere solo i conti a posto? Come è possibile? " "Hai
scoperto questa facciata esterna, che tutti avevano preso per la sostanza
". Certo, lei deve continuare a fare così, perché le modificazioni
interne comporteranno una novità nel suo comportamento senza che lei
se ne approfitti, ovviamente, ma intanto io lavorerò anche con i due
genitori, e attraverso i genitori con la cerchia della famiglia allargata
e la rete sociale che sta
lavorando attorno, attivando anche il giudice. C'è tutta una serie
di passi che l'abbattimento delle differenze, il buonismo non è più
in grado di fare. Si pensa così facendo di rispettare questa ragazza,
perché le si dice "guarda, non lo farai più ". che
fa poi dire "ma.. guarda sono stata in cattive compagnie".... e
ancora "è vero che tu adesso vuoi bene alla tua mamma .. ?"..Ma
dove sono le differenze, dov'è la responsabilità che la generazione
adulta si prende nei confronti della generazione che ha bisogno di una guida?
C'è qualcuno che nella relazione educava si deve prendere la responsabilità
di dire "questo sì, e questo no", con la pace, e non con
il dominio, con la gioia, con la possibilità che sia il no a preparare
il sì; è un no momentaneo per un sì più grande.
Se la generazione adulta
dimentica questi valori, la relazione educativa va allo sfascio...
L'asse orizzontale. in cui si situano gli eventi critici della storia familiare,
sia quelli prevedibili che quelli imprevedibili, si interseca, si incrocia
con l'asse verticale. cioè l'asse della chiave interpretativa di questi
eventi.
Ogni famiglia, oltre a un proprio lessico, ai propri rituali, ai propri desideri,
ai propri valori, ha infatti anche delle chiavi interpretative che colorano
quegli eventi. Sullo stesso evento ci possono essere dei vissuti, e quindi
dei comportamenti e reazioni diverse. In un testo bellissimo di Cigoli, in
cui si esaminano famiglie con un membro tossicodipendente e famiglie cosiddette
sane, senza un membro tossicodipendente, questi scopre una circostanza gustosa.
In una famiglia con un membro deviante, la ragazza tossicodipendente narrava
con molta sofferenza che, essendo la sua famiglia molto numerosa, lei era
stata "regalata via" ai suoi zii, i quali erano senza figli, e così
era cresciuta presso di loro, che l'avevano tenuta lontana dai genitori. Per
pura coincidenza in una famiglia con membri non devianti Vittorio Cigoli,
questo psicoterapeuta molto bravo, sente raccontare una storia apparentemente
identica da una ragazza che dice: in fondo io ho avuto quattro genitori, perché
avevo una famiglia numerosa e c'era una coppia di zii senza figli; così
io ero più coccolata, avevo di più perché questi zii
stavano anche bene economicamente ... Ecco, le storie appaiono molto simili,
c'è una sorta di adozione implicita, o di emarginazione da parte del
nucleo familiare di un suo membro.
Il risultato è che una dice: "non ho avuto neanche un genitore...,
mentre l'altra: "in fondo ne ho avuti quattro".
Gli eventi, anche quelli a volte così disturbanti, si colorano secondo
il senso, i valori, la Weltanschaaung, cioè il modo dì vedere
la vita, che si apprende all'interno di un universo familiare, universo familiare
che si interseca con gli altri universi e crea perciò il mondo culturale.
Uno degli aspetti più significativi della nostra cultura, e di cui
tutti siamo tributari, è quello che abbiamo chiamato la reificazione
della relazione. Di fronte a una relazione in corso siamo tutti disponibili
a metterci il camice bianco dell'osservatore esterno, di colui che si mette
"fuori" dalla relazione.
Se l'educatore adulto si mette il camice dell'osservatore esterno, ha fallito
il compito educativo.
La distanza regolata non è più tale, perché l'osservatore
esterno è fuori dalla relazione educativa, dunque non c'è nemmeno
distanza, non c'è possibilità di confronto, di dialogo, di comunicazione,
che coincide con il comportamento. La relazione educativa non ammette osservatori
esterni né quelli orgogliosi, né quelli disperati. Il mettersi
esterni alla relazione significa che la relazione diventa qualcosa di statico
e dì immutabile.
Una coppia ci dice di aver scoperto, nel giro di tre mesi che il figlio di
21 anni tirava coca, e quello di 16 si spinellava, in attesa di tempi migliori..
E questi due genitori ci dicono: "noi ci vergogniamo persino di uscire,
ci chiuderemmo volentieri dentro il nostro negozio.. e poi noi facciamo parte
del Consiglio pastorale..che vergogna..." A un certo punto la mamma sbotta:
"Io l'ho sempre saputo, lo sapevo..che i miei figli sarebbero arrivati
lì, me lo sentivo dentro!"
Si capisce allora che questa è una sofferenza profonda, generata da
una catena di pesi che a volte trasformano così la relazione educativa,
sottraendole la gioia che le è propria. Come mai questa mamma aveva
questo lutto interno, tale da farle dire: 1o sapevo che sarebbe finita così!"?
Alla domanda: "Come mai ha così poca stima di lei come madre",
la risposta è stata: "Che c'entro io, stiamo parlando dei miei
figli".. in realtà era la profezia sul suo essere madre che era
micidiale, che dava inquinamento. 1o non sono una brava madre dei miei figli,
non li educherò alla vita"..Ma anche qui c'è una catena,
bisogna entrare nella storia della mamma ... a volte ci portiamo dietro pesi
di generazioni e generazioni, perché non usciamo da questo incatenamento.
Dobbiamo scoprire che l'altro è un mistero, ma scoprire anche che la
relazione ci riserva sempre delle novità ... nessuno di noi è
così vecchio, nessuno di noi ha un sapere definitivo, tale da dire:
"So come andrà a finire!"
Se lo facciamo, lo facciamo perché abbiamo paura, perché sentiamo
dentro una minaccia, e invece di combattere contro questo allarme e queste
minacce continuiamo a fabbricare catene, gli uni gli altri. Siamo finiti agli
antipodi dell'opera d'arte!
Occorre perciò, per dare almeno una conclusione provvisoria, credere
che:
IL DIALOGO E' ANCHE SOLO GUARDARCI, STARE GLI UNI DI FRONTE AGLI ALTRI. DIALOGO E' ANCHE SOLO PENSARE QUALCOSA DI BELLO E DI BUONO DELL'ALTRO, SENZA DIRGLIELO.
La relazione è il grande bene, il grande tesoro che abbiamo nella vita: se non abbiamo cura della relazione, non abbiamo nemmeno cura di noi stessi.
Nota:
Il testo è tratto da una registratore, e risente della lingua parlata.
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